Latino: dall'autore Petronio, opera Satyricon parte 61-75
Itaque Fortunata, ut ex aequo ius firmum approbaret, male dicere Trimalchionem coepit et purgamentum dedecusque praedicare, qui non contineret libidinem suam Vltimo etiam adiecit: 'canis' Trimalchio contra offensus convicio calicem in faciem Fortunatae immisit Illa tanquam oculum perdidisset, exclamavit manusque trementes ad faciem suam admovit Consternata est etiam Scintilla trepidantemque sinu suo texit Immo puer quoque officiosus urceolum frigidum ad malam eius admovit, super quem incumbens Fortunata gemere ac flere coepit Contra Trimalchio: 'Quid enim, inquit, ambubaia non meminit se de machina illam sustuli, hominem inter homines feci At inflat se tanquam rana, et in sinum suum non spuit, codex, non mulier Sed hic, qui in pergula natus est, aedes non somniatur |
Ma Fortunata, facendo valere il suo sacrosanto diritto, comincia a inveire contro Trimalcione, dandogli dello sporcaccione e dell'impunito, incapace addirittura di controllare la sua foia E, per finire, lo chiama 'cane' Allora Trimalcione, colpito dall'insulto, per tutta risposta, le tira in faccia un calice Ma lei, come se ci avesse rimesso un occhio, attacca a strillare e si porta le mani tremanti al viso Chi è anche sconvolta è Scintilla, che si stringe al petto l'amica in lacrime e singhiozzi mentre un ragazzino pieno di premure le porge una bacinella con dell'acqua fresca e Fortunata ci si piega sopra tra lacrime e gemiti Trimalcione, invece, senza badarle, prorompe: Ma non se lo ricorda cos'era questa baldracca di una canzonettara L'ho tolta io dal marciapiede e ne ho fatto una signora tra le signore Lei no, si gonfia come una rana, si crede chissà chi: è una testa di legno, altro che una donna Ma chi è nato in una capanna non si sogna certo un palazzo |
Ita genium meum propitium habeam, curabo domata sit Cassandra caligaria Et ego, homo dipundiarius, sestertium centies accipere potui Scis tu me non mentiri Agatho unguentarius here proxime seduxit me et: 'Suadeo, inquit, non patiaris genus tuum interire' At ego dum bonatus ago et nolo videri levis, ipse mihi asciam in crus impegi Recte, curabo me unguibus quaeras Et, ut depraesentiarum intelligas quid tibi feceris: Habinna, nolo statuam eius in monumento meo ponas, ne mortuus quidem lites habeam Immo, ut sciat me posse malum dare, nolo me mortuum basiet' [LXXV] Post hoc fulmen Habinnas rogare coepit ut iam desineret irasci, et: 'Nemo, inquit, nostrum non peccat Homines sumus, non dei' |
E se solo la mia buona stella mi assiste, ci penso io a domare questa Cassandra in ciabatte E pensare che avrei potuto avere in moglie una donna con un milione di sesterzi, razza di idiota che non sono altro E tu lo sai che non racconto frottole Agatone, il profumiere di una vicina di qui, mi prende da parte e mi dice: 'Non vorrai mica lasciar morire così la tua stirpe' E io, da bonaccione che sono e per non sembrare uno sconsiderato, mi sono dato la zappa sui piedi D'accordo: ma farò in modo che tu mi venga a cercare grattando la terra con le unghie Anzi, per capire già fin da adesso il bel guadagno che ci hai fatto, guarda: Abinna, la sua statua non mi va più che la scolpisci sulla mia tomba, perché non ho nessuna intenzione di farmi del sangue cattivo anche da morto Anzi, perché sappia che con me non c'è da scherzare, le proibisco di baciarmi quando sarò cadavere 75 Dopo questa sfuriata, Abinna comincia a implorarlo di calmarsi; Tutti possono sbagliare Siamo uomini, non dèi |
Idem et Scintilla flens dixit, ac per genium eius Gaium appellando rogare coepit ut se frangeret Non tenuit ultra lacrimas Trimalchio et: 'Rogo, inquit, Habinna, sic peculium tuum fruniscaris: si quid perperam feci, in faciem meam inspue Puerum basiavi frugalissimum, non propter formam, sed quia frugi est: decem partes dicit, librum ab oculo legit, thraecium sibi de diariis fecit, arcisellium de suo paravit et duas trullas Non est dignus quem in oculis feram Sed Fortunata vetat Ita tibi videtur, fulcipedia Suadeo, bonum tuum concoquas, milva, et me non facias ringentem, amasiuncula: alioquin experieris cerebrum meum Nosti me: quod semel destinavi, clavo tabulari fixum est Sed vivorum meminerimus Vos rogo, amici, ut vobis suaviter sit |
Le stesse cose gliele ripete anche Scintilla in lacrime, chiamandolo Gaio e scongiurandolo in nome del suo nume tutelare di avere pietà E Trimalcione, non riuscendo più a trattenere le lacrime, sbotta: Ti prego, Abinna, e che tu possa godere a lungo dei tuoi soldi, ma sputami in faccia se ho fatto qualcosa di male Ho baciato un ragazzino tutto per bene, non tanto perché è carino, ma perché è pieno di pregi: sa dividere per dieci, legge i libri a prima vista, coi suoi risparmi si è comprato una tenuta da Trace, e poi una poltrona e due vasi, sempre di tasca sua Non è dunque giusto che sia la pupilla dei miei occhi Ma Fortunata non vuole così che la mettiamo, razza di spocchiosa Lo vuoi un consiglio: Cerca di capire il colpo di fortuna che hai avuto, razza di arpia, e non irritarmi più del dovuto, se no finisce che lo vedi di cosa sono capace, zoccola da strapazzo Eppure mi conosci: se mi ficco in testa qualcosa, è come un chiodo piantato in un muro Ma pensiamo a noi, piuttosto E voi, amici, vi prego, su con la vita |
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Nam ego quoque tam fui quam vos estis, sed virtute mea ad hoc perveni Corcillum est quod homines facit, cetera quisquilia omnia Bene emo, bene vendo; alius alia vobis dicet Felicitate dissilio Tu autem, sterteia, etiamnum ploras Iam curabo fatum tuum plores Sed ut coeperam dicere, ad hanc me fortunam frugalitas mea perduxit 'Tam magnus ex Asia veni, quam hic candelabrus est Ad summam, quotidie me solebam ad illum metiri, et ut celerius rostrum barbatum haberem, labra de lucerna ungebam Tamen ad delicias ipsimi annos quattuordecim fui Nec turpe est, quod dominus iubet Ego tamen et ipsimae satis faciebam Scitis quid dicam: taceo, quia non sum de gloriosis |
Come voi lo sono stato anch'io, ma per la mia bravura sono arrivato fino a qui il cuore che fa l'uomo, e tutto il resto sono quisquilie 'Compro bene, vendo bene': C'è chi vi dirà una cosa, chi un'altra Sta di fatto che io ho benessere da vendere E tu invece, cosa continui a piangere, razza di lagna Bada che se non la pianti, ti faccio piangere io Allora, come vi stavo dicendo, è stata la mia parsimonia a farmi arrivare così in alto Quando sono arrivato dall'Asia ero alto come quel candelabro ogni giorno mi ci andavo a misurare e, per farmi crescere la barba più in fretta, mi ungevo la faccia con l'olio delle lampade Per quattordici anni sono stato il cocco del padrone non venitemi a dire che è un obbrobrio: chi comanda è il padrone Io comunque mi facevo a mia volta la padrona Capite benissimo di cosa parlo: ma non aggiungo altro, perché non sono uno che si dà arie |