Modo, modo me appellavit Videor mihi cum illo loqui Heu, eheu Utres inflati ambulamus Minoris quam muscae sumus Illae tamen aliquam virtutem habent; nos non pluris sumus quam bullae Et quid si non abstinax fuisset Quinque dies aquam in os suum non coniecit, non micam panis Tamen abiit ad plures Medici illum perdiderunt, immo magis malus fatus; medicus enim nihil aliud est quam animi consolatio Tamen bene elatus est, vitali lecto, stragulis bonis Planctus est optime -- manu misit aliquot -- etiam si maligne illum ploravit uxor Quid si non illam optime accepisset Sed mulier quae mulier milvinum genus Neminem nihil boni facere oportet; aeque est enim ac si in puteum conicias Sed antiquus amor cancer est' |
mi aveva fatto chiamare un attimo prima Mi sembra ancora di averlo qui davanti che parliamo Mah Siamo otri gonfiati che camminano Siamo meno delle mosche quelle almeno un po' di vitalità ce l'hanno, mentre noi non siamo altro che bolle E se non avesse fatto la dieta terribile che sappiamo andato avanti cinque giorni senza inghiottire una goccia d'acqua o una briciola di pane Eppure è finito nel mondo dei più La sua morte ce l'hanno sulla coscienza i medici, o piuttosto un destino stramaledetto; a cosa servono poi i medici se non a tirare su il morale Però gli hanno fatto un funerale coi fiocchi, disteso sul suo letto pieno di addobbi di lusso In più l'hanno pianto di cuore per tutti quegli schiavi che aveva affrancato, mentre la sola che fingesse di essere straziata era la moglie E che diamine avrebbe fatto, se lui non l'avesse sempre trattata come una regina Le donne, che sanguisughe, le donne Non si dovrebbe mai fargli del bene, perché è come buttarlo in un pozzo L'amore col tempo è come averci il cancro |
[XLIII] Molestus fuit, Philerosque proclamavit: 'Vivorum meminerimus Ille habet, quod sibi debebatur: honeste vixit, honeste obiit Quid habet quod queratur Ab asse crevit et paratus fuit quadrantem de stercore mordicus tollere Itaque crevit, quicquid crevit, tanquam favus Puto mehercules illum reliquisse solida centum, et omnia in nummis habuit De re tamen ego verum dicam, qui linguam caninam comedi: durae buccae fuit, linguosus, discordia, non homo Frater eius fortis fuit, amicus amico, manu plena, uncta mensa Et inter initia malam parram pilavit, sed recorrexit costas illius prima vindemia: vendidit enim vinum quantum ipse voluit Et quod illius mentum sustulit, hereditatem accepit, ex qua plus involavit quam illi relictum est Et ille stips, dum fratri suo irascitur, nescio cui terrae filio patrimonium elegavit |
43 Il tipo cominciava a seccare, tanto che Filerote salta su e dice: E i vivi dove li mettiamo Quel tale ha avuto ciò che si meritava: ha vissuto bene e bene è morto Che ha da lagnarsi venuto su dal nulla ed era pronto a raccattare coi denti una moneta nel pieno della merda E così è cresciuto come è cresciuto, che sembrava un favo E santiddio mi sa che ha lasciato centomila sesterzi tranquilli, e tutti sull'unghia Ve lo dico io che non ho peli sulla lingua: era un cafone, una mala lingua, un rissoso di natura, mica un uomo Suo fratello, lui sì che c'aveva le palle, un vero amico con gli amici, generoso e con la tavola sempre imbandita All'inizio non gli andò per il verso giusto, poi si rimise in sesto con la prima vendemmia, perché riuscì a vendere il vino a quanto voleva lui Ma quello che lo rimise del tutto in carreggiata fu un'eredità dalla quale sgraffignò più di quanto gli toccasse Ma da deficiente qual era andò poi a litigare col fratello, lasciando tutta la sua fortuna a non so quale figlio di nessuno |
Longe fugit, quisquis suos fugit Habuit autem oracularios servos, qui illum pessum dederunt Nunquam autem recte faciet, qui cito credit, utique homo negotians Tamen verum quod frunitus est, quam diu vixit Datum est cui datum est, non cui destinatum Plane Fortunae filius In manu illius plumbum aurum fiebat Facile est autem, ubi omnia quadrata currunt Et quot putas illum annos secum tulisse Septuaginta et supra Sed corneolus fuit, aetatem bene ferebat, niger tanquam corvus Noveram hominem olim oliorum, et adhuc salax erat Non mehercules illum puto domo canem reliquisse Immo etiam puellarius erat, omnis Minervae homo Nec improbo, hoc solum enim secum tulit' [XLIV] Haec Phileros dixit, illa Ganymedes: 'Narrat is quod nec ad terram pertinet, cum interim nemo curat quid annona mordet |
Chi pianta in asso la sua gente finisce a rotoli Aveva dei servi che considerava oracoli, e quelli lo aiutarono a finire sul lastrico Chi fa in fretta a fidarsi del prossimo, finisce che non combina niente di buono, specie se è nel ramo degli affari Ma una cosa è certa: finché visse, se la spassò alla grande chi ha avuto, e non chi avrebbe dovuto avere Era davvero nato con la camicia In mano sua il piombo diventava oro che poi è uno scherzo, se tutto gira alla perfezione) E quanti anni credete che avesse Settanta e rotti Ma era fatto di ferro, e se li portava bene gli anni, nero come un corvo Io lo conoscevo dalla notte dei tempi, ma era ancora attivo sessualmente E mi sa che in casa sua non risparmiasse nemmeno la cagna E andava anche coi ragazzini, non si tirava mai indietro Non gli do mica torto: in fondo questa è la sola cosa che si sia portato dietro con sé 44 Dopo la tirata di Filerote, interviene Ganimede: Questa è roba che non sta né in cielo né in terra, e nel mentre nessuno ci pensa ai morsi della carestia |
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Non mehercules hodie buccam panis invenire potui Et quomodo siccitas perseverat Iam annum esuritio fuit Aediles male eveniat, qui cum pistoribus colludunt: 'Serva me, servabo te' Itaque populus minutus laborat; nam isti maiores maxillae semper Saturnalia agunt O si haberemus illos leones, quos ego hic inveni, cum primum ex Asia veni Illud erat vivere Si mila Siciliae si inferior esset larvas sic istos percolopabant, ut illis Iuppiter iratus esset Sed memini Safinium; tunc habitabat ad arcum veterem, me puero: piper, non homo Is quacunque ibat, terram adurebat Sed rectus, sed certus, amicus amico, cum quo audacter posses in tenebris micare In curia autem quomodo singulos pilabat Nec schemas loquebatur sed directum Cum ageret porro in foro, sic illius vox crescebat tanquam tuba |
Oggi, maledetta miseria, non sono riuscito a trovare un tozzo di pane E la siccità non vuole mica finirla E intanto è da un anno che c'è la fame Gli venisse un colpo agli edili, che fanno le combines coi fornai: 'Aiuta me che aiuto te' dicono mentre la povera gente tira la cinghia e per quelle canaglie è sempre carnevale Ah, se ci fossero ancora quei duri che ho trovato qui la prima volta che son venuto dall'Asia Quello sì che era vivere Se il grano della Sicilia non valeva un fico secco, a 'sti pezzi di galera quelli là gliene davano un sacco e una sporta, che sembrava venisse giù il cielo Me ne ricordo uno, Safinio: quand'ero ancora un ragazzino, lui stava dalle parti dell'Arco Vecchio; era un demonio, non un uomo Dove passava lui, faceva terra bruciata Ma era onesto, leale, amico con gli amici, potevi giocarci alla morra anche al buio E in Senato poi, come se li rigirava tutti, dal primo all'ultimo e come parlava chiaro, senza fare tanti giri di parole Nel foro, poi, quando aveva la parola lui, era come sentire una tromba |
Nec sudavit unquam nec expuit; puto enim nescio quid Asiadis habuisse Et quam benignus resalutare, nomina omnium reddere, tanquam unus de nobis Itaque illo tempore annona pro luto erat Asse panem quem emisses, non potuisses cum altero devorare Nunc oculum bublum vidi maiorem Heu heu, quotidie peius Haec colonia retroversus crescit tanquam coda vituli Sed quare nos habemus aedilem trium cauniarum, qui sibi mavult assem quam vitam nostram Itaque domi gaudet, plus in die nummorum accipit quam alter patrimonium habet Iam scio unde acceperit denarios mille aureos Sed si nos coleos haberemus, non tantum sibi placeret Nunc populus est domi leones, foras vulpes Quod ad me attinet, iam pannos meos comedi, et si perseverat haec annona, casulas meas vendam |
E mai una goccia di sudore o uno sputo: aveva un non so che di asiatico E con che gentilezza ti salutava, ricordandosi il nome di tutti, come se fosse uno di noi Così a quei tempi la roba costava una miseria Comprando un soldo di pane, non si riusciva mica a finirlo in due Adesso ti danno dei panini che un occhio di bue è più grosso Poveri noi, ogni giorno che passa è sempre peggio Questo paese cresce in senso contrario, come la coda di un vitello Ma come volete che vada se abbiamo un edile che non vale un fico secco, e che darebbe la nostra vita in cambio di una lira A casa sua se la spassa, e guadagna più lui in un giorno che il resto della gente in tutta la vita Io lo so benissimo come ha fatto ad arraffare mille denari d'oro Se solo noi avessimo le palle, quello lì non se la spasserebbe tanto Il fatto è che a casa siamo tutti leoni, mentre fuori diventiamo pecore Per quel che mi riguarda, ho già venduto gli stracci che avevo e, se continua la carestia, finisce che mi dò via anche la baracca |
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Quid enim futurum est, si nec dii nec homines eius coloniae miserentur Ita meos fruniscar, ut ego puto omnia illa a diibus fieri Nemo enim caelum caelum putat, nemo ieiunium servat, nemo Iovem pili facit, sed omnes opertis oculis bona sua computant Antea stolatae ibant nudis pedibus in clivum, passis capillis, mentibus puris, et Iovem aquam exrabant Itaque statim urceatim plovebat: aut tunc aut nunquam, et omnes ridebant udi tanquam mures Itaque dii pedes lanatos habent, quia nos religiosi non sumus Agri iacent [XLV] -- Oro te, inquit Echion centonarius, melius loquere 'Modo sic, modo sic', inquit rusticus: varium porcum perdiderat Quod hodie non est, cras erit: sic vita truditur Non mehercules patria melior dici potest, si homines haberet Sed laborat hoc tempore, nec haec sola |
Come volete che vada a finire, se gli dèi e gli uomini continuano a fregarsene di questo paese Mi scommetterei i figli che tutto questo ce lo mandano gli dèi Nessuno più crede che il cielo sia il cielo, nessuno più rispetta il digiuno, tutti se ne infischiano del padreterno, e sanno solo sgranare gli occhi per contare la roba che hanno Una volta le signore bene salivano scalze in Campidoglio, coi capelli sciolti e il cuore puro, e imploravano Giove che facesse piovere Subito veniva giù a catinelle: ora o mai, e tutti ridevano, fradici come sorci Oggi invece gli dèi sono imbestialiti perché non c'è più religione E intanto i campi se ne vanno in malora 45 Ma per piacere lo interrompe Echione, il rigattiere, non hai niente di più allegro da raccontarci 'Un po' su e un po' giù', disse il contadino, dopo aver perso il maiale pezzato Quello che non è oggi, sarà domani: così va la vita Se solo ci fossero degli uomini con gli attributi, santiddìo, questo sì che sarebbe il migliore dei paesi Ma adesso è piena crisi, e mica solo qui da noi |
Non debemus delicati esse; ubique medius caelus est Tu si aliubi fueris, dices hic porcos coctos ambulare Et ecce habituri sumus munus excellente in triduo die festa; familia non lanisticia, sed plurimi liberti Et Titus noster magnum animum habet, et est caldicerebrius Aut hoc aut illud erit, quid utique Nam illi domesticus sum, non est miscix Ferrum optimum daturus est, sine fuga, carnarium in medio, ut amphitheater videat Et habet unde Relictum est illi sestertium tricenties: decessit illius pater male Ut quadringenta impendat, non sentiet patrimonium illius, et sempiterno nominabitur Iam Manios aliquot habet et mulierem essedariam et dispensatorem Glyconis, qui deprehensus est cum dominam suam delectaretur |
Non dobbiamo fare tanto i difficili: tutto il mondo è paese Se tu abitassi da un'altra parte, diresti che qui dalle nostre parti i maiali vanno in giro per le strade già belli e cotti E poi abbiamo la prospettiva di goderci tre giorni di magnifico spettacolo: al posto dei gladiatori di professione un bel grappolo di liberti Il nostro Tito ha un cuore grosso così ed è pieno di iniziative Comunque, o questo o quello, alla fin fine qualcosa succederà Non è tipo da fare le cose a metà, credete a me che con lui sono culo e camicia Farà gareggiare i più grossi campioni in duelli all'ultimo sangue, col gran massacro finale al centro, che possano vedere tutti gli spettatori I mezzi per farlo ce li ha Quando suo padre buonanima è morto, lui si è beccato trenta milioni di sesterzi Se anche ne spende quattrocentomila, il suo gruzzolo certo non ne risente, e lui verrà ricordato in eterno Ha già per le mani qualche bel pezzo di galera, più una tizia che combatte sul carro e il tesoriere di Glicone, quello che l'hanno beccato mentre se la faceva con la padrona |
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Videbis populi rixam inter zelot et amasiunculos Glyco autem, sestertiarius homo, dispensatorem ad bestias dedit Hoc est se ipsum traducere Quid servus peccavit, qui coactus est facere Magis illa matella digna fuit quam taurus iactaret Sed qui asinum non potest, stratum caedit Quid autem Glyco putabat Hermogenis filicem unquam bonum exitum facturam Ille miluo volanti poterat ungues resecare; colubra restem non parit Glyco, Glyco dedit suas; itaque quamdiu vixerit, habebit stigmam, nec illam nisi Orcus delebit Sed sibi quisque peccat Sed subolfacio quia nobis epulum daturus est Mammaea, binos denarios mihi et meis Quod si hoc fecerit, eripiat Norbano totum favorem Scias oportet plenis velis hunc vinciturum |
E in mezzo al pubblico vedrai che risse tra i mariti gelosi e i seduttori di professione E quel pezzente di Glicone, che ha fatto buttare il tesoriere tra le belve Questo sì che è svergognarsi agli occhi di tutti Che colpa aveva il servo, se era la padrona che lo costringeva a farlo Lei piuttosto, quella troiona, meriterebbe che se la sbattesse un toro Ma è proprio vero che chi non può bastonare l'asino, se la prende col basto E poi Glicone che cosa si credeva, che dalla gramigna di Ermogene venisse fuori qualcosa di buono Avrebbe anche potuto tagliare le unghie a un nibbio in volo, tanto da un serpente non nasce mica una corda E Glicone, Glicone ha avuto quello che si meritava: le corna se le porta dietro finché campa, e non gliele toglie nemmeno il diavolo in persona Chi rompe paga, e i cocci son tutti suoi Io sento già il profumo del banchetto che ci offrirà Mammea, e le due monete d'oro che ci scapperanno per me e per i miei Se lo farà davvero, porterà via a Norbano tutto il favore della gente Puoi scommetterci che per lui sarà un trionfo |
Et revera, quid ille nobis boni fecit Dedit gladiatores sestertiarios iam decrepitos, quos si sufflasses, cecidissent; iam meliores bestiarios vidi Occidit de lucerna equites; putares eos gallos gallinaceos: alter burdubasta, alter loripes, tertiarius mortuus pro mortuo, qui haberet nervia praecisa Unus licuius flaturae fuit Thraex, qui et ipse ad dictata pugnavit Ad summam, omnes postea secti sunt; adeo de magna turba 'Adhibete' acceperant: plane fugae merae 'Munus tamen, inquit, tibi dedi -- et ego tibi plodo' Computa, et tibi plus do quam accepi Manus manum lavat |
Ma, a conti fatti, da quello lì che cosa ci abbiamo ricavato Ha fatto gareggiare dei gladiatori da due lire, con un piede nella bara, che li sbattevi a terra con un soffio; in passato ho visto dei condannati che di fronte alle bestie erano molto meglio di loro Ha fatto ammazzare dei cavalieri da lampade, che sembravano dei galli da pollaio; uo era da caricarlo sul mulo, l'altro aveva i piedi piatti e il terzo, che doveva sostituire un morto, era già morto pure lui con i tendini tagliati L'unico con un po' di fiato da spendere era un Trace, ma pure lui combatteva come se fosse in palestra Alla fine li dovettero frustare, tanto la folla gridava 'Dàgli, dàgli': dei veri campioni dell'arte della fuga 'Io comunque uno spettacolo te l'ho offerto', dice lui e io ti rispondo: 'Ti ho battuto le mani Tu fatti i tuoi bravi conti, e vedrai che ti ho dato più di quello che ho ricevuto Una mano lava l'altra' |