la luce della lampada, piegata verso il giaciglio, investe in pieno il malatino: è pallido con gli occhi chiusi e la bocca semiaperta. Su una malridotta panca, vicino al cuscino su cui si posa il capo il piccolo paziente, ci sono una ciotola con una posata e una brocca, destinate evidentemente alla sua cena. Sul tavolo c'è una tazza con un cucchiaino, forse un tè che è stato offerto al dottore.
Sullo sfondo la giovane madre china il suo capo sulle braccia appoggiate sul tavolo, con le mani incrociate per disperazione o in preghiera. Non guarda il dottore, per indovinare ciò che pensa, perché evidentemente ha già saputo tutto ciò che c'era da sapere e si lascia andare al pianto. Il marito appoggia su di lei il braccio sinistro per consolarla, mentre guarda rassegnato e affranto il dottore, non per sapere qualche cosa che ancora non sappia (il suo viso è già mesto e angosciato), ma per vedere ciò che farà.
il dottore che ha già fatto tutto ciò che c'era tecnicamente da fare, senza concitazione, si china meditabondo verso il bambino e lo osserva da vicino. Il suo sguardo non cerca più di interpretare i sintomi clinici, ma contempla impotente il crudele decorso della malattia. Ha deciso comunque di non congedarsi e di restare lì a condividere la disperazione dei genitori. La sua sola presenza fisica è conforto.