Un qualunque prodotto di distillazione, purché ad alta gradazione alcolica: circa 10 volte la birra e cinque volte il vino, cioè ciò che garantisce uno stordimento rapido con una minore quantità di liquido ingerito.
L'industria della distillazione era stata incoraggiata dal governo fin dalla fine dal seicento, soprattutto per l'abitudine di distribuire razioni di acquavite alle truppe militari. La produzione passò così da 2 milioni di litri del 1684 ai 20 milioni del 1737. Nel decennio 1723-33 la mortalità superava ogni anno sistematicamente la natalità ma quando le conseguenze sociali della diffusione dell'alcolismo, soprattutto tra le classi inferiori della popolazione, divennero allarmanti, le autorità emanarono il Gin Act che nel 1736 impose forti tasse sulla vendita dei distillati, con la sola conseguenza di alimentare la distillazione clandestina e di peggiorare la qualità del prodotto.
QUALI FURONO LE RAGIONI DI QUELLA VERA E PROPRIA EPIDEMIA?
Era accaduto che i ceti più bassi non avevano aderito alla cosiddetta cultura del caffè (o del tè, o della cioccolata, a seconda delle classi di appartenenza e della localizzazione geografica) che aveva preso piede tra la borghesia fin dal XVII secolo: uso connesso ad un modello di sobrietà, razionalità e disposizioni all'impegno lavorativo molto in linea con l'etica protestante. L'industrializzazione che avanzava non era riuscita a cancellare l'abitudine antica e persistente, nel popolo, di bere per dimenticare. Dimenticare la miseria, soprattutto: il fenomeno sarà descritto bene da Friedrich Engels alla metà del XIX secolo.
In piena Gin craze, dunque autorità, pensatori, legislatori, pubblica opinione si mobilitarono per porre rimedio a una situazione che manifestava pesanti risvolti sociali: criminalità, crisi sanitaria, crollo della produttività. Lo stordimento alcolico aveva cancellato ogni traccia della funzione socializzante del bere, legata alla cultura del pub e dell'osteria. In alcuni quartieri la percentuale dei locali per bere era di uno ogni 7,5 abitanti. In città si distillavano circa 45 milioni di litri di gin.
In realtà a Londra si soffriva forse di più per le epidemie di peste e colera, l'elevata mortalità infantile e per la scarsissima igiene generale. Più facile prendersela col gin e le cattive abitudini del popolo.
Tra gli arruolati non poteva mancare il principale autore di stampe satiriche del dell'epoca, William Hogarth. La satira corrente al tempo, sia sui periodici che nel teatro e nella pubblicistica delle stampe popolari, aveva forti appigli morali e di critica sociale; più che a divertire puntava a educare. Hogarth era il principale rappresentante di questa tendenza, le sue incisioni e i suoi dipinti erano ispirati a una profonda critica di costume, e si rivolgevano a tutte le classi sociali, dall'aristocrazia alla classe media e al popolo. E' sufficiente una scorsa ai titoli di alcune delle sue stampe per cogliere i temi principali della sua satira di attualità:
- la carriera di una prostituta
- la carriera di un libertino
- ozio e operosità
- il matrimonio alla moda
- il poeta nei guai
- l'attrice girovaga che si veste in un pagliaio.
In generale, a contraddistinguere la sua produzione era il saldo legame con la realtà delle cose e della vita; anche sul piano estetico la sua polemica era contro tutto ciò che appariva magniloquente e artificioso.
Nel 1751 Hogarth decise di dare il suo contributo alla guerra contro l'alcolismo con due stampe, Gin Lane e Beer Street. Le due stampe, per favorirne la diffusione, vennero messe in vendita a un prezzo molto basso, uno scellino; lo scopo era tappezzarne le taverne e gli altri locali pubblici inoltre il prezzo basso scoraggiava la pirateria (era piuttosto diffusa la pratica di realizzare stampe contraffatte, e l'oculato Hogarth prendeva le sue contromisure).
Gin Lane è ambientata nel quartiere popolare di St Giles. Ovunque dominano miseria e squallore. Le uniche attività apparentemente floride sono la distilleria e la bottega dell'usuraio presso il quale una famiglia sta impegnando gli utensili da cucina. Al centro una prostituta, con le gambe piagate dalla sifilide completamente ubriaca, non si accorge del figlioletto che le cade dalle scale. La taverna in basso a sinistra ha un avviso: " ubriachi con un penny; ubriachi fradici con due pence; il pagliaccio pulito è gratis ". Ai piedi della scala, morto di fame, un venditore di opuscoli moraleggianti. Sulla destra, una rissa si accende davanti alla distilleria. Attorno, solo scene di follia, morte, crolli e orrore indotti dall'ebbrezza alcolica.
Al contrario di ciò che accade in Gin Lane, Beer Street appare il regno pacifico della felicità e della salute. La sola impresa fallimentare stavolta è proprio quella dell'usuraio, la cui insegna oscilla instabile davanti a una finestra disastrata. In giro solo onesti, pasciuti e sorridenti cittadini, intenti alle loro piacevoli occupazioni nel giorno lieto del compleanno di re Giorgio II, come indica la bandiera sul campanile di St Martin-in-the-Fields che svetta nello sfondo.
In entrambe le stampe si beve ma nel primo caso il bere appare in netto contrasto con la normale vita lavorativa, nel secondo le due cose sembrano perfettamente compatibili, anche gli addetti alla portantina, nel fondo al centro, fanno una sosta per una birra, mentre la loro passeggera attende seduta; e questo per l'immagine allora rassicurante della birra come bevanda della tradizione. Parliamo di un'epoca in cui evidentemente, una proposta di pura e semplice astensione dal bere - o di pratica consapevole - era decisamente improponibile.
Nel giro di pochi anni, intanto - anche a causa di una serie di cattivi raccolti che interferivano con la produzione della materia prima da distillare -, la crisi del Gin esce dalla fase acuta e la situazione torna a standard più regolari