La pazza di Giacomo Balla del 1905

La pazza di Giacomo Balla del 1905

Se la follia finora è stata per lo più rappresentata come un'esperienza collettiva, una liturgia scaturita da un disturbo improvviso, spesso indotto è difficile da spiegare, agli esordi del Novecento costituisce il sintomo di un malessere interiore che contamina la nostra coscienza e altera il nostro sguardo
la pazza - Giacomo Balla, 1905
la pazza - Giacomo Balla, 1905

Nell'estate del 1905 Giacomo Balla riceve una delle tante visite che è solita fagli Matilde Garbini, una emarginata nota nel quartiere Parioli di Rom...

Le figure deliranti, che in passato dovevano allontanare dalla tentazione di assecondare l'ebbrezza e accogliere il demonio, sono sempre più isolate e osservate con passione. Sono individui deviati che non meritano ancora alcuna condanna, ma ci mettono di fronte alle debolezze della nostra anima.

Nell'estate del 1905 Giacomo Balla riceve una delle tante visite che è solita fagli Matilde Garbini, una emarginata nota nel quartiere Parioli di Roma dove lui ha aperto il suo studio di recente. La donna vive di accattonaggio, forse prostituzione, e mostra evidenti segni di squilibrio.

E' una pazza.

L'artista decide di immortalare uno dei suoi gesti più frequenti. Colta sulla soglia dell'atelier, di fronte a un campo acceso dal giallo del grano che si estende a Villa Borghese, la donna porta il dito indice della mano destra alla bocca. "silenzio! il bambino dorme....", è solita urlare a chiunque incontri, in bilico sulle sue scarpe squinternate. Freud avrebbe facilmente dedotto che la sua follia e il frutto di quella mancata maternità che alberga nella sua illusione. Un desiderio non realizzato che la sua mente labile, soddisfa attraverso una allucinazione.

Si muove a scatti, dondolando la testa colma di ricci che Balla sembra rubare alla medusa di Caravaggio. Le spalle chiuse sul collo, la mano sinistra aperta ad artiglio nel vuoto, lo sguardo perso, il pittore descrive il suo squilibrio fisico, che corrisponde a quello mentale.

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