Ariosto, Satira IV: parafrasi

Ariosto, Satira IV: parafrasi

Ognuno dica quel che vuole, e pensi quel che gli pare

insomma ti confesso

che qui ho perduto l'allegria, il divertimento e la felicità.

Questa è la prima; ma ce ne sono molte altre vicino

e molte altre ragioni posso aggiungere,

che mi hanno distolto dalla poesia.

Furono per me dolce stimolo a scrivere

i luoghi ameni di cui Reggio,

mia patria, abbonda.

Una villa dei Malaguzzi a cui penso sempre,

la bella dimore, un torrente vicino,

abitato da ninfe fluviali,

una peschiera dalle acque limpide

con tutt'intorno il giardino, il fresco ruscello che corre,

bagnando l'erba, dove poi fa il mulino;

non mi si possono togliere dalla memoria

le vigne e i solchi del fecondo monte,

la valle, il colle e l'imponente torre.

Cercando ora questo e ora quel luogo ombroso,

in questi luoghi ameni io scrissi componimenti poetici

in italiano e in latino e di diverso genere

traevo ruscelli dal gorgoneo lago.

Allora erano i miei anni belli tra aprile

e maggio, che ora l'ottobre lascia

indietro, e nemmeno più luglio e agosto.

Ma, senza il cuore sereno, nemmeno

i luoghi consacrati alle muse, le ridenti valli,

potranno far uscire da me una gioconda rima.

Quale altro luogo potrebbe mai essere meno

adatto di questo per la poesia, vuoto di

ogni gioia e pieno di orrori?

Mi potresti domandare chi mi ha spinto

da dolci studi e così cara compagnia in cui mi trovavo,

in questo rincrescevole labirinto.

Tu devi sapere che io non fui mai avido di

ricchezze, che io solevo accontentarmi

dello stipendio che percepivo a Ferrara;

ma forse non sai come lo stipendio veniva erogato saltuariamente e in ritardo,

dopo la guerra, e come volle il Duca fu poi del tutto sospeso.

Finchè la guerra durò, non me ne importava;

finita la guerra, invece, mi ferì il vedere che continuavano

a non stipendiarmi, tant'è che ogni paura scomparve.

Tanto più che, a causa della guerra che faceva tacere le leggi,

non mi veniva più corrisposto l'affitto del mio ufficio di Melano.

Ricorsi al Duca: " o voi, signor, dovete mandarmi via

per mio bisogno, o non vi rincresca

che io vada a procacciarmi lo stipendio di un altro signore".

In quel tempo i Grafagnini, appena insorti,

si spinsero fuori da Firenze per procurarsi dell'altro cibo,

con frequenti lettere e ambasciatori

ripetevano al Duca, e lo sollecitavano

per riavere i loro capi e i loro usati onori.

Io fui scelto improvvisamente,

o forse perché il termine era breve

di consigliar chi si metta per il meglio,

oppure il Duca tenne più presente

il mio bisogno che non quello dei sudditi,

gli sono grato quanto gli spetta.

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