concertare [e]quis regium et antiquis ducibus factitatum memora[ba]t, idque vatum laudibus celebre et deorum honori datum enimvero cantus Apollini sacros, talique ornatu adstare non modo Graecis in urbibus, sed Romana apud templa numen praecipuum et praescium nec iam sisti poterat, cum Senecae ac Burro visum, ne utraque pervinceret, alterum concedere clausumque valle Vaticana spatium, in quo equos regeret, haud promisco spectaculo mox ultro vocari populus Romanus laudibusque extollere, ut est vulgus cupiens voluptatum et, se eodem princeps trahat, laetum ceterum evulgatus pudor non satietatum, ut rebantur, sed incitamentum attulit |
Ricordava che gareggiare nella corsa dei cavalli era pratica di re e di antichi capitani, e materia del canto dei poeti e consacrata a onorare gli dèi Il canto poi era sacro ad Apollo, divinità importantissima e signore della profezia, che proprio con la cetra veniva figurato non solo nelle città greche, ma anche nei templi di Roma Non si riusciva a frenarlo, e allora Seneca e Burro, perché non la spuntasse in entrambi, scelsero di cedere su un punto venne recintato, nella valle del Vaticano, uno spazio, in cui guidasse i cavalli senza dare spettacolo a tutti Ma poi fu lui a chiamare il popolo di Roma, che non lesinò le sue lodi: così è il volgo, sempre affamato di divertimenti e, se il principe ve lo spinge, felice Peraltro le sue disonoranti esibizioni non produssero, come Seneca e Burro pensavano, sazietà, bensì ulteriore eccitazione |
ratusque dedecus moliri, si plures foedasset, nobilium familiarum posteros egestate venales in scaenam deduxit; quos fato perfunctos ne nominatim tradam, maioribus eorum tribuendum puto [nam et eius flagitium est, qui pecuniam ob delicta potius dedit, quam ne delinquerent] notos quoque equites Romanos operas arenae promittere subegit donis ingentibus, nisi quod merces ab eo, qui iubere potest, vim necessitatis adfert [15] Ne tamen adhuc publico theatro dehonestaretur, instituit ludos Iuvenalium vocabulo, in quos passim nomina data non nobilitas cuiquam, non aetas aut acti honores impedimento, quo minus Graeci Latinive histrionis artem exercerent usque ad gestus modosque haud viriles |
E, convinto che l'offesa alla propria dignità si stemperasse, coinvolgendo nella vergogna molti altri, trascinò sulla scena gli eredi di nobili famiglie, disposti per bisogno a vendersi: nomi di persone, che, anche se ormai morte, ritengo di non dover fare, per un tributo di riguardo ai loro antenati La vergogna ricade anche su Nerone, che diede loro denaro per indurli al male piuttosto che per indurli ad evitarlo Costrinse anche noti cavalieri romani, con doni cospicui, a promettere di dare spettacolo nell'arena: ma forse, quando il compenso viene da chi può dare ordini, ha la forza vincolante di un obbligo 15 Tuttavia, per non abbassarsi fino alla esibizione in un pubblico teatro, istituì i giochi chiamati Iuvenalia, cui s’iscrisse gente di ogni provenienza Non la nobiltà, l'età, le cariche ricoperte impedirono loro di esercitare anche l'arte degli istrioni greci o latini, fino a scendere a gesti e atteggiamenti non virili |
quin et feminae inlustres deformia meditari; exstructaque apud nemus, quod navali stagno circumposuit Augustus, conventicula et cauponae et posita veno inritamenta luxui dabantur stipes, quas boni necessitate, intemperantes gloria consumerent inde gliscere flagitia et infamia, nec ulla moribus olim corruptis plus libidinum circumdedit quam illa conluvies vix artibus honestis pudor retinetur, nedum inter certamina vitiorum pudicitia aut modestia aut quicquam probi moris reservaretur postremus ipse scaenam incedit, multa cura temptans citharam et praemeditans adsistentibus ph[on]ascis accesserat cohors militum, centuriones tribunique et maerens Burrus ac laudans |
Non basta: nobildonne famose si esibivano in parti oscene; e presso il bosco di cui Augusto contornò il lago riservato alle naumachie sorsero luoghi di convegno e taverne e si potevano comprare strumenti di lussuria Vi si distribuivano monete, che gli onesti spendevano per necessità, i viziosi per ostentazione Poi scandali e infamie dilagarono e, pur nella corruzione morale di quel tempo, nessuna accozzaglia di persone, più di quella, riuscì a diffondere altrettante perversioni Già è difficile salvare la propria dignità nel corso di una vita onesta: tanto meno erano difendibili, in quella gara di pratiche viziose, il pudore, la moderazione, un minimo almeno di moralità Infine Nerone salì sulla scena, accordando con molto impegno le corde della cetra e provando il tono giusto con maestri di canto al suo fianco Erano intervenuti la coorte pretoria, i centurioni, i tribuni e Burro, affranto ma prodigo di lodi |
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tuncque primum conscripti sunt equites Romani cognomento Augustianorum, aetate ac robore conspicui, et pars ingenio procaces, alii in spe[m] potentiae ii dies ac noctes plausibus personare, formam principis vocemque deum vocabulis appellantes; quasi per virtutem clari honoratique agere [16] Ne tamen ludicrae tantum imperatoris artes notescerent, carminum quoque studium adfectavit, contractis quibus aliqua pangendi facultas necdum insignis aestimatio hi considere simul, et adlatos vel ibidem repertos versus conectere atque ipsius verba quoquo modo prolata supplere, quod species ipsa carminum docet, non impetu et instinctu nec ore uno fluens etiam sapientiae doctoribus tempus impertiebat post epulas, utque contraria adseverantium discordia frueretur |
Fu allora che, per la prima volta, vennero reclutati tra i cavalieri romani, col nome di Augustiani, dei giovani, selezionati per l'età e il fisico aitante, alcuni di insolente presunzione, altri sperando di acquistare potere Costoro, in un continuo scrosciare di applausi giorno e notte, davano alla bellezza del principe e alla sua voce epiteti divini: e, come se lo dovessero a meriti particolari, vivevano godendosi fama e onori 16 Ma perché sulla scena non brillassero solo le sue doti di recitazione, si dedicò anche alla poesia, raccogliendo attorno a sé quanti, benché non ancora noti, avessero talento nella versificazione Costoro, dopo una buona cena, si riunivano a ricucire versi già composti o improvvisati da Nerone e ad aggiustare le formulazioni approssimative del medesimo, come dimostra la forma stessa delle sue poesie, che fluiscono senza vigore né ispirazione e in totale assenza diunità stilistica A conclusione dei banchetti dedicava tempo anche ai filosofi, per divertirsi alle polemiche fra sostenitori di tesi opposte |
nec deerant qui ore vultuque tristi inter oblectamenta regia spectari cuperent [17] Sub idem tempus levi initio atrox caedes orta inter colonos Nucerinos Pompeianosque gladiatorio spectaculo, quod Livineius Regulus, quem motum senatu rettuli, edebat quippe oppidana lascivia in vicem incessente[s] probra, dein saxa, postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum plebe, apud quos spectaculum edebatur ergo deportati sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes deflebant cuius rei iudicium princeps senatui, senatus consulibus permisit et rursus re ad patres relata, prohibiti publice in decem annos eius modi coetu Pompeiani collegiaque, quae contra leges instituerant, dissoluta; Livineius et qui alii seditionem conciverant exilio multati sunt |
Non mancava chi si compiaceva di farsi ammirare, tra le frivolezze della corte, con discorsi seri e compassati 17 Pressappoco in quel periodo, futili incidenti diedero origine a violenti scontri, con morti, tra gli abitanti di Nocera e quelli di Pompei, durante uno spettacolo di gladiatori, organizzato da Livineio Regolo, espulso, come già riferito, dal senato Cominciarono, con l'intemperanza tipica delle cittadine di provincia, a scambiarsi insulti, poi sassi, per finire col mettere mano alla spada; ebbero la meglio quelli di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo Molti di Nocera furono riportati nella loro città col corpo mutilato o segnato da ferite, e parecchi piangevano la morte di figli o genitori Il principe affidò l'inchiesta sugli incidenti al senato e il senato ai consoli Poi, quando la faccenda ritornò al senato, ai Pompeiani furono vietate per dieci anni simili riunioni e vennero sciolte le associazioni costituitesi in modo illegale; a Livineio e a quanti avevano provocato i disordini fu comminato l'esilio |
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[18] Motus senatu et Pedius Blaesus, accusantibus Cyrenensibus violatum ab eo thesaurum Aesculapii dilectumque militarem pretio et ambitione corruptum idem Cyrenenses reum agebant Acilium Strabonem, praetoria potestate usum et missum disceptatorem a Claudio agrorum, quos regis Apionis quondam avitos et populo Romano cum regno relictos proximus quisque possessor invaserat, diutinaque licentia et iniuria quasi iure et aequo nitebantur igitur abiudicatis agris orta adversus iudicem invidia; et senatus ignota sibi esse mandata Claudii et consulendum principem respondit Ne[ro], probata Strabonis sententia, se nihilo minus subvenire sociis et usurpata concedere [re]scripsit |
18 Venne espulso dal senato anche Pedio Bleso: secondo l'accusa degli abitanti di Cirene, aveva manomesso il tesoro di Esculapio e, per venalità e favoritismo, stravolto le regole del reclutamento militare Sempre i Cirenei accusavano Acilio Strabone, inviato da Claudio, con funzioni di pretore, quale arbitro in una questione di terreni, già possesso ereditario del re Apione e lasciati, col regno, al popolo romano; terreni che i proprietari dei campi vicini avevano occupato, forti del lungo possesso abusivo come di un diritto legittimo Quando dunque le terre furono loro riprese, si levò il malcontento contro il giudice; la risposta del senato fu che nulla sapeva degli incarichi affidati da Claudio e che dovevano rivolgersi all'imperatore Nerone approvò la sentenza emessa da Strabone, ma rispose che voleva aiutare gli alleati e che concedeva quindi loro le terre usurpate |
[19] Sequuntur virorum inlustrium mortes, Domitii Afri et M Servilii, qui summis honoribus et multa eloquentia viguerant, ille orando causas, Servilius diu foro, mox tradendis rebus Romanis celebris et elegantia vitae, quod clariorem effecit, ut par ingenio, ita morum diversus |
19 Seguì la morte di due uomini illustri, Domizio Afro e Marco Servilio, segnalatisi per le alte cariche e la grande eloquenza: figura ben nota per le sue orazioni giudiziarie il primo, Servilio invece per la lunga pratica forense e, in seguito, per gli studi di storia romana, oltre che per quella raffinatezza di vita, che egli rese più splendida di quella di Domizio: pari a lui per ingegno, ma diverso nel modo di essere e di vivere |