primus haec tertio consulatu Cn Pompeius adstrinxit imposuitque veluti frenos eloquentiae, ita tamen ut omnia in foro, omnia legibus, omnia apud praetores gererentur: apud quos quanto maiora negotia olim exerceri solita sint, quod maius argumentum est quam quod causae centumvirales, quae nunc primum obtinent locum, adeo splendore aliorum iudiciorum obruebantur, ut neque Ciceronis neque Caesaris neque Bruti neque Caelii neque Calvi, non denique ullius magni oratoris liber apud centumviros dictus legatur, exceptis orationibus Asinii, quae pro heredibus Urbiniae inscribuntur, ab ipso tamen Pollione mediis divi Augusti temporibus habitae, postquam longa temporum quies et continuum populi otium et assidua senatus tranquillitas et maxime principis disciplina ipsam quoque eloquentiam sicut omnia alia pacaverat | Fu Gneo Pompeo il primo a introdurre restrizioni nel suo terzo consolato e si può dire che abbia messo le briglie all'eloquenza, garantendo però che tutto si svolgesse nel foro, nel rispetto delle leggi e davanti ai pretori; e di quanto fossero più importanti le questioni allora normalmente trattate davanti a loro, ne è prova il fatto che i processi davanti ai centumviri, che ora sono considerati i più importanti, erano tanto eclissati dallo splendore degli altri tribunali che non esiste un singolo discorso pronunciato davanti ai centumviri che oggi venga letto, né di Cicerone, né di Cesare, né di Bruto, né di Celio, né di Calvo, non insomma di nessun oratore di rango, con l'eccezione del discorso di Asinio Per gli eredi di Urbinia; e questo venne pronunciato dallo stesso Pollione attorno alla metà del governo del divo Augusto, dopo che un lungo periodo di pace, un prolungato distacco del popolo dalla politica, l'ininterrotto atteggiamento conciliante del senato e l'ordine sovrano imposto dal principe avevano pacato, come tutto il resto, anche l'eloquenza |
[39] Parvum et ridiculum fortasse videbitur quod dicturus sum, dicam tamen, vel ideo ut rideatur Quantum humilitatis putamus eloquentiae attulisse paenulas istas, quibus adstricti et velut inclusi cum iudicibus fabulamur Quantum virium detraxisse orationi auditoria et tabularia credimus, in quibus iam fere plurimae causae explicantur Nam quo modo nobilis equos cursus et spatia probant, sic est aliquis oratorum campus, per quem nisi liberi et soluti ferantur, debilitatur ac frangitur eloquentia Ipsam quin immo curam et diligentis stili anxietatem contrariam experimur, quia saepe interrogat iudex, quando incipias, et ex interrogatione eius incipiendum est frequenter probationibus et testibus silentium patronus indicit Unus inter haec dicenti aut alter adsistit, et res velut in solitudine agitur |
[39] Sembrerà forse banale e ridicolo quello che sto per dire; tuttavia lo dirò anche solo per farvi ridere Quanta perdita di dignità noi pensiamo che abbiano provocato all'eloquenza questi mantelletti, in cui noi, stretti e come rinchiusi, andiamo a parlare coi giudici Quanta forza noi crediamo che abbia tolto all'arringa l'ambiente delle aule e degli archivi, in cui si trattano ormai quasi tutte le cause Infatti, come per i cavalli di razza è la corsa in spazi aperti a far prova della loro qualità, così l'oratore ha bisogno di un campo vasto, in cui spaziare libero e senza remore, per evitare che l'eloquenza si indebolisca e vada in frantumi Inoltre, l'esperienza ci mostra che una cura meticolosa e lo sforzo ansioso di rifinire lo stile ottengono l'effetto contrario, perché spesso il giudice ti domanda quando intendi venire al punto e devi iniziare a partire da quella domanda Di frequente ti impone il silenzio per lasciar posto alle prove e ai testimoni Nel frattempo solo uno o due stanno ad ascoltare chi parla e l'azione giudiziaria procede in una sorta di deserto |
Oratori autem clamore plausuque opus est et velut quodam theatro; qualia cotidie antiquis oratoribus contingebant, cum tot pariter ac tam nobiles forum coartarent, cum clientelae quoque ac tribus et municipiorum etiam legationes ac pars Italiae periclitantibus adsisteret, cum in plerisque iudiciis crederet populus Romanus sua interesse quid iudicaretur Satis constat C Cornelium et M Scaurum et T Nilonem et L Bestiam et P Vatinium concursu totius civitatis et accusatos et defensos, ut frigidissimos quoque oratores ipsa certantis populi studia excitare et incendere potuerint Itaque hercule eius modi libri extant, ut ipsi quoque qui egerunt non aliis magis orationibus censeantur |
L'oratore, invece, ha bisogno di clamore e di plauso e di stare in una sorta di teatro; e questo accadeva ogni giorno agli antichi oratori, quando il foro era affollato da un uditorio al tempo stesso numeroso e scelto, quando accanto a persone che affrontavano il rischio del processo c'erano anche stuoli di clienti e compagni della stessa tribù e anche delegazioni di municipi e di parti dell'Italia, quando il popolo romano credeva che, per la maggior parte dei processi, il loro esito lo riguardasse direttamente Sappiamo bene che l'accusa e la difesa di Gaio Cornelio e di Marco Scauro, di Tito Milone e di Lucio Bestia e di Publio Vatinio ha fatto accorrere tutta la città, di modo che anche gli oratori più grandi non potevano non essere eccitati e infiammati dallo scontro delle passioni popolari Ecco allora che ci resta il testo dei discorsi, di una forza tale che anche quanti li hanno pronunciati traggono da questi più che da qualsiasi altro il loro titolo di gloria |
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[40] Iam vero contiones assiduae et datum ius potentissimum quemque vexandi atque ipsa inimicitiarum gloria, cum se plurimi disertorum ne a Publio quidem Scipione aut Sulla aut Cn Pompeio abstinerent, et ad incessendos principes viros, ut est natura invidiae, populi quoque ut histriones auribus uterentur, quantum ardorem ingeniis, quas oratoribus faces admovebant Non de otiosa et quieta re loquimur et quae probitate et modestia gaudeat, sed est magna illa et notabilis eloquentia alumna licentiae, quam stulti libertatem vocitant, comes seditionum, effrenati populi incitamentum, sine obsequio, sine severitate, contumax, temeraria, adrogans, quae in bene constitutis civitatibus non oritur Quem enim oratorem Lacedae- monium, quem Cretensem accepimus |
[40] E ancora: le continue assemblee pubbliche e il diritto accordato di aggredire le personalità politiche di spicco e la stessa gloria derivante dall'essere loro nemici, nei giorni in cui numerosi abili oratori non risparmiavano neppure Publio Scipione o Lucio Silla o Gneo Pompeo e, per attaccare i cittadini di primo piano - perché questa è la natura dell'invidia - si servivano anche, al pari degli istrioni, delle orecchie del volgo, allora quanta passione comunicavano agli ingegni, che bagliori di fiamma davano alla loro eloquenza Noi non parliamo di una cosa tranquilla e pacifica, che si compiace dell'onestà e del senso della misura; no, quella grande e così vistosa eloquenza è figlia della licenza, che gli stolti chiamano libertà, è compagna dei disordini, è pungolo per la sfrenatezza del popolo, è incapace di obbedienza, di severità; è ribelle, temeraria, arrogante, e non può nascere negli stati ben regolati Quale oratore noi conosciamo infatti o di Sparta o di Creta |
Quarum civitatum severissima disciplina et severissimae leges traduntur Ne Macedonum quidem ac Persarum aut ullius gentis, quae certo imperio contenta fuerit, eloquentiam novimus Rhodii quidam, plurimi Athenienses oratores extiterunt, apud quos omnia populus, omnia imperiti, omnia, ut sic dixerim, omnes poterant Nostra quoque civitas, donec erravit, donec se partibus et dissensionibus et discordiis confecit, donec nulla fuit in foro pax, nulla in senatu concordia, nulla in iudiciis moderatio, nulla superiorum reverentia, nullus magistratuum modus, tulit sine dubio valentiorem eloquentiam, sicut indomitus ager habet quasdam herbas laetiores Sed nec tanti rei publicae Gracchorum eloquentia fuit, ut pateretur et leges, nec bene famam eloquentiae Cicero tali exitu pensavit |
Stati in cui, come tramandano, l'ordine era severissimo e severissima la legislazione Neppure dei Macedoni e dei Persiani né di alcun popolo, che abbia accettato di vivere sotto un governo rigido e stabile, noi conosciamo l'eloquenza Sono esistiti alcuni oratori a Rodi, moltissimi ad Atene, perché lì il popolo poteva tutto, tutto potevano gli incompetenti e tutti, per così dire, potevano tutto Anche la nostra Roma, finché si mosse senza direzione, finché si sfinì nelle lotte di parte, nei dissidi e nelle discordie, finché non vi fu pace alcuna nel foro, nessuna concordia in senato, né una regola nell'attività dei tribunali, né rispetto per l'autorità, né limite alcuno al potere dei magistrati, anche Roma produsse un'eloquenza senza dubbio più vigorosa, come un terreno incolto ha erbacce più rigogliose Ma per lo stato l'eloquenza dei Gracchi non valeva tanto da dovere subirne anche le leggi, e Cicerone ha pagato troppo cara, con una fine così triste, la fama della sua eloquenza |
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[41] Sic quoque quod superest [antiquis oratoribus fori] non emendatae nec usque ad votum compositae civitatis argumentum est Quis enim nos advocat nisi aut nocens aut miser Quod municipium in clientelam nostram venit, nisi quod aut vicinus populus aut domestica discordia agitat Quam provinciam tuemur nisi spoliatam vexatamque Atqui melius fuisset non queri quam vindicari Quod si inveniretur aliqua civitas, in qua nemo peccaret, supervacuus esset inter innocentis orator sicut inter sanos medicus Quo modo tamen minimum usus minimumque profectus ars medentis habet in iis gentibus, quae firmissima valetudine ac saluberrimis corporibus utuntur, sic minor oratorum honor obscuriorque gloria est inter bonos mores et in obsequium regentis paratos Quid enim opus est longis in senatu sententiis, cum optimi cito consentiant |
[41] Allo stesso modo quella vitalità del foro, che sopravvisse agli antichi oratori, è prova di uno stato non corretto e regolato alla perfezione Chi infatti ricorre a noi avvocati, se non un colpevole o una vittima Quale municipio chiede, come cliente, la nostra protezione, se non sotto la pressione di un popolo vicino o di lotte interne Quale provincia difendiamo, che non sia stata spogliata e oppressa Certo sarebbe meglio non doversi lamentare che chiedere giustizia E se poi si trovasse una comunità in cui nessuno commette errori, l'oratore sarebbe, tra persone senza colpa, superfluo come un medico fra sani E come l'arte medica ha un minimo impiego e un minimo profitto tra popoli che godono di ottima salute e hanno una forte costituzione, così minore è il prestigio degli oratori e più pallida la loro gloria in una società incorrotta e disposta a obbedire a chi comanda Che bisogno c'è, infatti, di lunghe argomentazioni in senato, quando i migliori lì si accordano subito |
Quid multis apud populum contionibus, cum de re publica non imperiti et multi deliberent, sed sapientissimus et unus Quid voluntariis accusationibus, cum tam raro et tam parce peccetur Quid invidiosis et excedentibus modum defensionibus, cum clementia cognoscentis obviam periclitantibus eat credite, optimi et in quantum opus est disertissimi viri, si aut vos prioribus saeculis aut illi, quos miramur, his nati essent, ac deus aliquis vitas ac [vestra] tempora repente mutasset, nec vobis summa illa laus et gloria in eloquentia neque illis modus et temperamentum defuisset: nunc, quoniam nemo eodem tempore adsequi potest magnam famam et magnam quietem, bono saeculi sui quisque citra obtrectationem alterius utatur |
A che servono tante arringhe davanti al popolo, quando non è una moltitudine ignorante a operare le scelte politiche, bensì uno solo, il più saggio Perché prendere l'iniziativa di presentare accuse, quando si pecca così di rado e così poco Quale lo scopo di attirarsi l'odio con difese interminabili, quando la clemenza del giudice viene incontro all'accusato in pericolo Credetemi, ottimi amici, voi che possedete tutta l'eloquenza che i tempi richiedono: se voi foste nati nel tempo passato e gli oratori che non ammiriamo fossero nati in questo tempo, e se un dio capovolgesse all'improvviso le vostre vite e le vostre epoche, non sarebbe mancata a voi quella celebrità e quella gloria da loro ottenuta nell'eloquenza e a essi la misura e il senso di moderazione che avete voi; ma poiché a nessuno è dato di ottenere insieme una grande fama e una grande pace, apprezzi ciascuno i vantaggi del proprio tempo, senza denigrare le altre età |
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Latino: dall'autore Tacito, opera Dialogus de oratoribus parte 01-10
[42] Finierat Maternus, cum Messalla: 'erant quibus contra dicerem, erant de quibus plura dici vellem, nisi iam dies esset exactus ' 'Fiet' inquit Maternus 'postea arbitratu tuo, et si qua tibi obscura in hoc meo sermone visa sunt, de iis rursus conferemus 'ac simul adsurgens et Aprum complexus 'Ego' inquit 'te poetis, Messalla autem antiquariis criminabimur 'At ego vos rhetoribus et scholasticis' inquit Cum adrisissent, discessimus |
[42] Materno aveva finito, e allora Messalla: 'Ci sarebbero dei punti che vorrei confutare, ce ne sarebbero altri che vorrei vedere più sviluppati, se la giornata non fosse trascorsa 'Un'altra volta,' disse Materno, 'faremo a tuo piacimento e, se hai trovato delle parti oscure nel mio discorso, ci torneremo sopra ancora Intanto si alzò e abbracciò Apro, dicendo: 'Io denuncerò te ai poeti e Messalla ai cultori dell'antichità 'E io,' replicò Apro, 'denuncerò voi due ai retori e ai professori di declamazione 'Una risata e ce ne andammo |