Tacito, Annales: libro 14, 40-65, pag 2

Tacito, Annales: libro 14, 40-65

Latino: dall'autore Tacito, opera Annales parte libro 14, 40-65
ille inter pudorem et iram cunctatus, postremo rescripsit: nulla iniuria provocatum Antistium gravissimas in principem contumelias dixisse; earum ultionem a patribus postulatam, et pro magnitudine delicti poenam statui par fuisse

ceterum se, qui severitatem decernentium impediturus fuerit, moderationem non prohibere: statuerent ut vellent; datam et absolvendi licentiam

his atque talibus recitatis et offensione manifesta, non ideo aut consules mutavere relationem aut Thrasea decessit sententia ceterive quae probaverant deseruere, pars, ne principem obiecisse invidiae viderentur, plures numero tuti, Thrasea sueta firmitudine animi et ne gloria intercideret

[50] Haud dispari crimine Fabricius Veiento conflictatus est, quod multa et probrosa in patres et sacerdotes composuisset iis libris, quibus nomen codicillorum dederat
Cesare, a lungo diviso tra ritegno e rabbia, diede infine la sua risposta: Antistio, non provocato da alcuna offesa, aveva espresso attacchi gravissimi contro il principe; il senato ne aveva chiesto la punizione; e sarebbe stato giusto comminare una pena proporzionata al delitto

quanto a sé, che pure non si sarebbe opposto a un eventuale giudizio severo, non intendeva impedire la moderazione: facessero come volevano; avevano anche il potere di assolverlo

Dopo la lettura, in senato, di una simile risposta, in cui il risentimento traspariva chiaro, non per questo i consoli avanzarono proposte diverse, né Trasea ebbe ripensamenti, né gli altri, che gli si erano affiancati, lo abbandonarono: una parte per evitare la taccia di aver fatto apparire odioso il principe, i più perché difesi dal numero, Trasea per l'abituale fermezza morale e per non compromettere il suo nome

50 Da analoga accusa fu investito Fabrizio Veientone, per aver raccolto molti pesanti giudizi su senatori e sacerdoti in libri, cui aveva dato il nome di codicilli
adiciebat Tullius Geminus accusator venditata ab eo munera principis et adipiscendorum honorum ius

quae causa Neroni fuit suscipiendi iudicii, convictumque Veientonem Italia depulit et libros exuri iussit, conquisitos lectitatosque, donec cum periculo parabantur: mox licentia habendi oblivionem attulit

[51] Sed gravescentibus in dies publicis malis subsidia minuebantur, concessitque vita Burrus, incertum valetudine an veneno

valetudo ex eo coniectabatur, quod in se tumescentibus paulatim faucibus et impedito meatu spiritum finiebat

plures iussu Neronis, quasi remedium adhiberetur, inlitum palatum eius noxio medicamine adseverabant, et Burrum intellecto scelere, cum ad visendum eum princeps venisset, adspectum eius aversatum sciscitanti hactenus respondisse: 'ego me bene habeo’
L'accusatore, Tullio Gemino, gli addebitava anche di aver fatto mercato dei favori del principe e del diritto di accedere alle pubbliche cariche

Proprio questo indusse Nerone ad avocare a sé il processo e, constatata la colpevolezza, espulse Veientone dall'Italia e ordinò di bruciare gli scritti, ricercati e letti con avidità, finché fu rischioso procurarseli: la possibilità, poi consentita, di disporne, li confinò nell'oblio

51 Crescevano, giorno dopo giorno, i pubblici mali, mentre cedevano i punti di forza; morì Burro, non si sa se per malattia o di veleno

Che si trattasse di malattia induceva a pensarlo il lento e progressivo gonfiore della gola, che, impedendo il passaggio dell'aria, gli toglieva il respiro

Assicuravano i più che, per ordine di Nerone, gli era stata spalmata sul palato, col pretesto di dargli giovamento, una sostanza velenosa, e che Burro, intuito il delitto, quando il principe venne a trovarlo, si sia voltato dall'altra parte, limitandosi a rispondere alla sua domanda con: Sto bene, io
civitati grande desiderium eius mansit per memoriam virtutis et successorum alterius segnem innocentiam, alterius flagrantissima flagitia [adulteria]

quippe Caesar duos praetoriis cohortibus imposuerat, Faenium Rufum ex vulgi favore, quia rem frumentariam sine quaestu tractabat, Ofonium Tigellinum, veterem impudicitiam atque infamiam in eo secutus

atque illi pro cognitis moribus fuere, validior Tigellinus in animo principis et intimis libidinibus adsumptus, prospera populi et militum fama Rufus, quod apud Neronem adversum experiebatur

[52] Mors Burri infregit Senecae potentiam, quia nec bonis artibus idem virium erat altero velut duce amoto, et Nero ad deteriores inclinabat
A Roma fu davvero grande il rimpianto di Burro, nel ricordo dei suoi meriti e perché dei suoi successori, uno fu corretto ma senza personalità, l'altro scandalosamente scellerato

Cesare, infatti, aveva messo due uomini al comando delle coorti pretorie, Fenio Rufo, benvisto dal popolo per la disinteressata gestione dell'approvvigionamento dei viveri, e Ofonio Tigellino, del quale apprezzava la dissolutezza, di vecchia data, e la conseguente pessima fama

Costoro si comportarono secondo i loro già noti costumi: più potente Tigellino, nel cuore del principe e suo compagno di vizi privati, benvoluto dal popolo e dai soldati Rufo, del che era prova l'avversione di Nerone

52 La morte di Burro compromise il potere di Seneca, perché la sua positiva influenza, ora che era sparita l'altra, possiamo dire, guida, non aveva più la presa di prima, e Nerone si lasciava attrarre dai peggiori

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Latino: dall'autore Tacito, opera Annales parte Libro 04, 01-24

hi variis criminationibus Senecam adoriuntur, tamquam ingentes et privatum modum evectas opes adhuc augeret, quodque studia civium in se verteret, hortorum quoque amoenitate et villarum magnificentia quasi principem supergrederetur

obiciebant etiam eloquentiae laudem uni sibi adsciscere et carmina crebrius factitare, postquam Neroni amor eorum venisset

nam oblectamentis principis palam iniquum detrectare vim eius equos regentis, inludere vocem, quotiens caneret

quem ad finem nihil in re publica clarum fore, quod non ab illo reperiri credatur

certe finitam Neronis pueritiam et robur iuventae adesse: exueret magistrum, satis amplis doctoribus instructus maioribus suis
Costoro prendono di mira Seneca con accuse di vario tipo: che aumentava ulteriormente le sue enormi ricchezze, eccessive per un privato; che intendeva concentrare su di sé le simpatie dei cittadini; che superava, quasi, il principe nella raffinata bellezza dei giardini e nella sontuosità delle ville

Gli rinfacciavano anche di volersi accaparrare tutta la gloria dell'eloquenza e di aver intensificato la produzione di versi, da quando Nerone vi si era appassionato

Lo dicevano scopertamente avverso agli svaghi del principe, pronto a sprezzare la sua abilità nel guidare i cavalli e a schernire la voce, quando cantava

E fino a quando si doveva credere che nell'impero non ci sarebbe stato niente di buono che non provenisse da lui

Senza dubbio, l'infanzia di Nerone era trascorsa ed egli era nel pieno vigore della sua giovinezza: si togliesse dunque di dosso quel precettore ora che poteva valersi dei suoi avi, come veri e preziosi maestri
[53] At Seneca criminantium non ignarus, prodentibus iis, quibus aliqua honesti cura, et familiaritatem eius magis aspernante Caesare, tempus sermoni orat et accepto ita incipit: 'quartus decimus annus est, Caesar, ex quo spei tuae admotus sum, octavus, ut imperium obtines: medio temporis tantum honorum atque opum in me cumulasti, ut nihil felicitati meae desit nisi moderatio eius, utar magnis exemplis, ne[c] meae fortunae, sed tuae

abavus tuus Augustus Marco Agrippae Mytilenese secretum, C Maecenati urbe in ipsa velut peregrinum otium permisit; quorum alter bellorum socius, alter Romae pluribus laboribus iactatus ampla quidem sed pro ingentibus meritis, praemia acceperant
53 Non ignorava Seneca l'esistenza di tali accuse, informatone da quanti erano ancora sensibili all'onore, e, poiché Cesare lo emarginava sempre di più, chiede udienza e, ottenutala, così comincia: Da ben quattordici anni, o Cesare, sono stato affiancato alla tua giovinezza carica di speranze; e da ben otto anni tu reggi l'impero; in tutto questo tempo mi hai colmato di tanti onori e ricchezze, che nulla manca alla mia fortuna, se non di porvi un limite; citerò grandi esempi, e relativi non alla mia condizione, bensì alla tua

Il tuo trisavolo Augusto concedette a Marco Agrippa di ritirarsi a Mitilene e a Gaio Mecenate il riserbo di una vita privata in piena Roma, quasi fosse un forestiero: hanno collaborato con lui, l'uno nelle guerre e l'altro accettando, a Roma, il carico di responsabilità d’ogni tipo, ma per i loro grandi meriti ricevettero premi adeguati

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ego quid aliud munificentiae [tuae] adhibere potui quam studia, ut sic dixerim, in umbra educata, et quibus claritudo venit, quod iuventae tuae rudimentis adfuisse videor, grande huius rei pretium

at tu gratiam immensam innumeram pecuniam circumdedisti, adeo ut plerumque intra me ipse volvam: egone, equestri et provinciali loco ortus, proceribus civitatis adnumeror

inter nobiles et longa [de]cora praeferentes novitas mea enituit

ubi est animus ille modicis contentus

tales hortos exstruit et per haec suburbana incedit et tantis agrorum spatiis, tam lato faenore exuberat

una defensio occurrit, quod muneribus tuis obniti non debui

[54] Sed uterque mensuram implevimus, et [tu], quantum princeps tribuere amico posset, et ego, quantum amicus a principe accipere: cetera invidiam a[u]gent
Io null'altro avrei potuto offrire alla tua generosità, se non i miei studi coltivati, per così dire, nell'ombra, studi che, se poi ebbero fama, fu solo perché ho affiancato con i miei insegnamenti la tua giovinezza; e questa è la grande ricompensa della mia opera

Ma tu mi hai circondato di immenso favore e di incalcolabile ricchezza, tanto che spesso mi chiedo: Sono proprio io, venuto da famiglia equestre e provinciale, a essere annoverato fra le personalità di spicco a Roma

Come ho potuto io, uomo nuovo, brillare fra tanti nobili che vantano una lunga serie d’antenati autorevoli

Dov'è mai il mio animo contento del poco

Eppure esso ha fatto sorgere giardini così belli, passeggia fra queste tenute suburbane, in così ampie distese di campi e gode di così vaste rendite

Unica mia giustificazione è il dovere che avevo di non resistere ai tuoi doni

54 Ma abbiamo colmato entrambi la misura, tu per quanto un principe può dare a un amico, io per quanto un amico può accettare da un principe: tutto il resto non fa che accrescere l'invidia
quae quidem, ut omnia mortalia, infra tuam magnitudinem iacet, sed mihi incumbit, mihi subveniendum est

quo modo in militia aut via fessus adminiculum orarem, ita in hoc itinere vitae senex et levissimis quoque curis impar, cum opes meas ultra sustinere non possim, praesidium peto

iube re[m] per procuratores tuos administrari, in tuam fortunam recipi

nec me in paupertatem ipse detrudam, sed traditis quorum fulgore praestringor, quod temporis hortorum aut villarum curae seponitur, in animum revocabo

superest tibi robur et tot per annos summi fastigii regimen: possumus seniores amici quietem reposcere

hoc quoque in tuam gloriam cedet, eos ad summa vexisse, qui et modica tolerarent'
Invidia che, come le altre cose umane, non arriva alle vette della tua grandezza, ma incombe su di me, per cui ho bisogno d'aiuto

Perciò, come in guerra o lungo un cammino, io, stanco, cercherei in te un appoggio, così, in questo viaggio della vita, io, vecchio e inadatto anche alle incombenze meno gravi, non potendo reggere il peso delle mie ricchezze, ti chiedo un aiuto

Dà ordine ai tuoi procuratori di amministrare queste sostanze e di inglobarle nei tuoi beni

Non ch'io voglia ridurmi in povertà, ma, consegnate quelle ricchezze il cui splendore mi abbaglia, tornerò a dedicare allo spirito quel tempo prima riservato alla cura di ville e giardini

Tu puoi contare su tante energie e sulla capacità, addestrata in molti anni, di reggere il potere: noi, amici ormai vecchi, possiamo chiederti di riposare

Anche questo tornerà a tua gloria, l'aver cioè innalzato ai vertici più alti uomini che sanno adattarsi anche a condizioni modeste

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[55] Ad quae Nero sic ferme respondit: 'quod meditatae orationi tuae statim occurram, id primum tui muneris habeo, qui me non tantum praevisa, sed subita expedire docuisti

[ab]avus meus Augustus Agrippae et Maecenati usurpare otium post labores concessit, sed in ea ipse aetate, cuius auctoritas tueretur quicquid illud et qualecumque tribuisset; ac tamen neutrum datis a se praemiis exuit bello et periculis meruerant; in iis enim iuventa Augusti versata est

nec mihi tela et manus tuae defuissent in armis agenti; sed quod praesens condicio poscebat, ratione consilio praeceptis pueritiam, dein iuventam meam fovisti

et tua quidem erga me munera, dum vita suppetet, aeterna erunt: quae a me habes, horti et faenus et villae, casibus obnoxia sunt
55 Così, ad un dipresso, replicò Nerone: Saper improvvisare una risposta al tuo ben costruito discorso, lo considero innanzi tutto un dono ricevuto da te, che mi hai insegnato a risolvere non solo le questioni previste, ma anche le inattese

Il mio trisavolo Augusto concesse sì ad Agrippa e Mecenate di godersi, dopo tante fatiche, il riposo, ma si trovava in un'età in cui l'autorità sua bastava a dar garanzie su ciò che intendesse fare e concedere: e tuttavia non tolse a nessuno dei due i premi loro concessi; se li erano guadagnati in guerra e in incombenze rischiose, perché in esse Augusto aveva trascorso la sua giovinezza

E, se mi fossi trovato a combattere, neanche a me sarebbero mancati il tuo braccio e la tua spada; tu invece, come i tempi presenti chiedevano, hai vegliato, con l'intelligenza, col tuo consiglio e i tuoi insegnamenti, sulla mia fanciullezza e poi sulla mia giovinezza

Quanto mi hai dato, sarà per me, finché avrò vita, un valore eterno: ciò che tu hai da me, giardini, rendite, ville, tutto è esposto alle vicende del caso
ac licet multa videantur, plerique haudquaquam artibus tuis pares plura tenuerunt

pudet referre libertinos, qui ditiores spectantur: unde etiam rubori mihi est, quod praecipuus caritate nondum omnes fortuna antecellis

[56] Verum et tibi valida aetas rebusque et fructui rerum sufficiens, et nos prima imperii spatia ingredimur, nisi forte aut te Vitellio ter consuli aut me Claudio postponis, et quantum Volusio longa parsimonia quaesivit, tantum in te mea liber[ali]tas explere non potest

quin, si qua in parte lubricum adulescentiae nostrae declinat, revocas ornatumque robur subsidio impensius regis

non tua moderatio si reddideris pecuniam, nec quies, si reliqueris principem, sed mea avaritia, meae crudelitatis metus in ore omnium versabitur
E per quanto grandi sembrino quei beni, molti altri, pur non paragonabili per merito a te, li hanno avuti, e anche di più

Mi vergogno di nominare quei liberti, che tutti vedono più ricchi di te: ed è per me ancora motivo di rossore il fatto che tu, il primo nel mio affetto, non superi ancora tutti nella fortuna

56 Peraltro l'età tua è vigorosa e sei all'altezza di affrontare i tuoi compiti con successo, e noi siamo solo nella prima fase del nostro potere, a meno che tu non voglia posporre te a Vitellio, tre volte console, o me a Claudio e pensare che quanto ha procurato a Volusio una lunga parsimonia, altrettanto non possa realizzare verso di te la mia generosità

E poi, se il terreno lubrico della nostra giovinezza ci svia talvolta dal retto cammino, non vorrai tu richiamarci, e non guideresti col tuo aiuto ancor più premuroso le nostre fiorenti energie

Non il tuo senso della misura, se mi renderai il denaro, non il tuo bisogno di riposo, se lascerai il principe, ma la mia cupidigia e la tua paura della mia crudeltà saranno sulle bocche di tutti

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quod si maxime continentia tua laudetur, non tamen sapienti viro decorum fuerit, unde amico infamiam paret, inde gloriam sibi recipere'

his adicit complexum et oscula, factus natura et consuetudine exercitus velare odium fallacibus blanditiis

Seneca, qui finis omnium cum dominante sermonum, grates agit; sed instituta prioris potentiae commutat, prohibet coetus salutantium, vitat comitantes, rarus per urbem, quasi valetudine infensa aut sapientiae studiis domi attineretur

[57] Perculso Seneca promptum fuit Rufum Faenium imminuere Agrippinae amicitiam in eo criminantibus
E, quand'anche prevalessero le lodi per la tua continenza, non sarebbe, in ogni caso, bello per un saggio acquistarsi gloria proprio recando infamia a un amico

Alle parole fa seguire abbracci e baci, fatto com'era per natura e per consuetudine esercitato a velare l'odio con affettuosità false

Seneca, perché così finiscono tutti i discorsi coi tiranni, ringraziò; cambia però le precedenti abitudini di quand'era potente, allontana la folla dei visitatori, evita gli accompagnatori, si fa vedere poco in città, come fosse trattenuto in casa da malferma salute o dallo studio della filosofia

57 Colpito Seneca, fu facile sminuire Fenio Rufo, per chi gli imputava l'amicizia con Agrippina

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