Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 06 - Parte 01, pag 2

Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 06 - Parte 01

Latino: dall'autore Valerio Massimo, opera Detti e fatti memorabili parte Libro 06 - Parte 01

ext Teutonorum uero coniuges Marium uictorem orarunt ut ab eo uirginibus Vestalibus dono mitterentur, adfirmantes aeque se atque illas uirilis concubitus expertes futuras, eaque re non impetrata laqueis sibi nocte proxima spiritum eripuerunt

di melius, quod hunc animum uiris earum in acie non dederunt: nam si mulierum suarum uirtutem imitari uoluissent, incerta Teutonicae uictoriae tropaea reddidissent

init Libertatem autem uehementis spiritus dictis pariter et factis testatam ut non inuitauerim, ita ultro uenientem non excluserim

Quae inter uirtutem uitiumque posita, si salubri modo se temperauit, laudem, si quo non debuit profudit, reprehensionem meretur

ac uulgi sic auribus gratior quam sapientissimi cuiusque animo probabilior est utpote frequentius aliena uenia quam sua prouidentia tuta
() Le mogli dei Teutoni scongiurarono Mario vincitore di mandarle in dono alle vergini Vestali, affermando che, come quelle, sarebbero rimaste lontane da amplessi virili; ma, non avendo ottenuto questa concessione, la notte seguente s'impiccarono

Siano ringraziati gli dèi per non aver dato codesta audacia ai loro mariti sul campo: ché, se avessero costoro voluto imitare il coraggio delle loro mogli, avrebbero reso incerto l'esito vittorioso della campagna contro i Teutoni

() Quanto alla franca libertà di spirito, testimoniata a un tempo da detti e fatti, come non sarei io a provocarne la trattazione, così non l'escluderei, una volta che mi si presenta da sé

Essa, posta a mezzo tra la virtù e il vizio, se sa moderarsi salutarmente, merita lode, se invece si lascia andare là dove non dovrebbe, biasimo

E così è più gradita agli orecchi del volgo che accettabile all'animo dei saggi, in quanto è protetta più spesso dal perdono altrui che dalla preveggenza sua propria
sed quia humanae uitae partes persequi propositum est, nostra fide propria aestimatione referatur

Priuerno capto interfectisque qui id oppidum ad rebellandum incitauerant senatus indignatione accensus consilium agitabat quidnam sibi de reliquis quoque Priuernatibus esset faciendum

ancipiti igitur casu salus eorum fluctuabatur eodem tempore et uictoribus et iratis subiecta

Ceterum cum auxilium unicum in precibus restare animaduerterent, ingenui et Italici sanguinis obliuisci non potuerunt: princeps enim eorum in curia interrogatus quam poenam mererentur, respondit quam merentur qui se dignos libertate iudicant

uerbis arma sumpserat exasperatosque patrum conscriptorum animos inflammauerat

sed Plautius consul fauens Priuernatium causae regressum animoso eius dicto obtulit quaesiuitque qualem cum eis Romani pacem habituri essent inpunitate donata
Ma poiché è nostro proposito trattare esaurientemente tutti gli aspetti della vita umana, trattiamone, per quel che vale, con la nostra consueta franchezza

() Presa Priverno ed uccisi i promotori della sua ribellione, il senato, acceso d'ira, discuteva che cosa mai dovesse fare degli altri Privernati

La loro salvezza era in dubbio, legata com'era al capriccio dei vincitori, per di più sdegnati

Ma, pur intendendo che l'unica risorsa consisteva nelle preghiere, costoro non poterono dimenticare di essere per sangue liberi ed italici: difatti il loro capo, interrogato in senato quale punizione meritassero, rispose che meritavano quella dovuta a coloro che si ritenevano degni della libertà

Aveva fatto delle sue parole altrettante armi ed aveva infiammato fino all'esasperazione i Padri coscritti

Ma il console Plauzio, ch'era favorevole alla causa dei Privernati, offrì una via d'uscita alle sue coraggiose dichiarazioni e gli chiese quale pace avrebbero fatto con i Romani, se fosse stata loro concessa l'impunità
at is constantissimo uultu si bonam dederitis, inquit perpetuam, si malam, non diuturnam

qua uoce perfectum est ut uictis non solum uenia, sed etiam ius et beneficium nostrae ciuitatis daretur

Sic in senatu loqui Priuernas ausus est: L uero Philippus consul aduersus eundem ordinem libertatem exercere non dubitauit: nam segnitiam pro rostris exprobrans alio sibi senatu opus esse dixit tantumque a paenitentia dicti afuit, ut etiam L Crasso summae dignitatis atque eloquentiae uiro id in curia grauiter ferenti manum inici iuberet

ille reiecto lictore non es inquit mihi, Philippe, consul, quia ne ego quidem tibi senator sum

Quid

populum ab incursu suo libertas tutum reliquit

immo et similiter adgressa et aeque experta patientem est
Ma quello, con fierissimo atteggiamento: Se ci darete, disse, una buona pace, la faremo per sempre; se cattiva, non la faremo durare a lungo

Conseguenza di queste dichiarazioni fu che ai vinti venne concesso non solo il perdono, ma anche il beneficio della cittadinanza romana

() Così osò parlare in senato un Privernate: ma il console Lucio Filippo non dubitò neanche lui di esercitare la sua libertà nei confronti dello stesso ordine: rimproverandone dai rostri la lentezza, disse che gli occorreva un altro senato e fu così lontano dal pentirsi di quanto aveva detto, che ordinò persino l'arresto di Lucio Crasso, autorevolissimo cittadino e brillante oratore, per aver protestato nella Curia contro il fatto

Ma questi, allontanato da sé il littore, Non hai su di me , disse, l'autorità di console, o Filippo, perché nemmeno io sono per te un senatore

() E che

La libertà ha forse lasciato il popolo indenne dai suoi assalti

Tutt'altro, ché anzi ne ha attaccato e messo ugualmente alla prova la pazienza

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Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 03 - Parte 01
Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 03 - Parte 01

Latino: dall'autore Valerio Massimo, opera Detti e fatti memorabili parte Libro 03 - Parte 01

Cn Carbo tribunus pl, nuper sepultae Gracchanae seditionis turbulentissimus uindex idemque orientium ciuilium malorum fax ardentissima, P Africanum a Numantiae ruinis summo cum gloriae fulgore uenientem ab ipsa paene porta in rostra perductum quid de Ti Gracchi morte, cuius sororem in matrimonio habebat, sentiret interrogauit, ut auctoritate clarissimi uiri inchoato iam incendio multum incrementi adiceret, quia non dubitabat quin propter tam artam adfinitatem aliquid pro memoria interfecti necessarii miserabiliter esset locuturus

at is iure eum caesum uideri respondit

cui dicto cum contio tribunicio furore instincta uiolenter succlamasset, taceant inquit quibus Italia nouerca est

orto deinde murmure non efficietis ait ut solutos uerear quos alligatos adduxi
Cneo Carbone, tribuno della plebe, turbolentissimo continuatore della rivolta dei Gracchi da poco tempo affossata e, nello stesso tempo, ardentissima fiaccola delle sciagurate guerre civili allora agli inizi, rilevò quasi alle porte di Roma Publio Africano, reduce con l'aureola della gloria dall'eccidio di Numanzia, e accompagnatolo fino ai rostri, gli chiese il suo parere sulla morte di Tiberio Gracco, la cui sorella aveva sposa, affinché col prestigio di quell'illustre personaggio rinfocolasse ben bene il già scoppiato incendio : sicuro che, a causa della parentela così stretta, l'Africano avrebbe avuto parole di compassione in ricordo del congiunto ucciso

Ma Scipione rispose che, a suo parere, l'uccisione di Tiberio era stata legittima

A questo punto, poiché l'assemblea, sovreccitata dai tribuni, si mise ad inveire fragorosamente: Tacciano, disse, coloro per i quali l'Italia è matrigna

E interrompendo il mormorio che seguì: Non farete in modo , aggiunse, ch'io abbia a temere da liberi coloro che condussi fin qui prigionieri
uniuersus populus ab uno iterum contumeliose correptus eratquantus est honos uirtutis

et tacuit

recens ipsius uictoria Numantina et patris Macedonica deuictaeque Karthaginis auita spolia ac duorum regum Syphacis et Persei ante triumphales currus catenatae ceruices totius tunc fori ora clauserunt

nec timori datum est silentium, sed quia beneficio Aemiliae Corneliaeque gentis multi metus urbis atque Italiae finiti erant, plebs Romana libertati Scipionis libera non fuit

Quapropter minus mirari debemus, quod amplissima Cn Pompei auctoritas totiens cum libertate luctata est, nec sine magna laude, quoniam omnis generis hominum licentiae ludibrio esse quieta fronte tulit
Il popolo tutto era stato ingiuriosamente rimproverato da un solo quanto grande è il rispetto che si porta al valore

eppure tacque

La sua ancor fresca vittoria su Numanzia e le spoglie macedoniche del padre e quelle cartaginesi dell'avo e i colli dei due re, Siface e Perseo, incatenati davanti ai carri trionfali misero allora a tacere tutto il Foro

Né questo silenzio fu attribuito a timore, ma, poiché molti timori di Roma e dell'Italia erano stati allontanati per beneficio delle famiglie Emilia e Cornelia, la plebe romana non fu libera davanti alla libertà di Scipione

() Perciò dobbiamo meravigliarci di meno, se l'amplissima autorità di Cneo Pompeo ebbe a lottare tante volte con la libertà, e non senza grande lode, perché egli rimase impassibile di fronte allo scherno incontrollato di persone di ogni genere

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Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 02 - Parte 01
Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili: Libro 02 - Parte 01

Latino: dall'autore Valerio Massimo, opera Detti e fatti memorabili parte Libro 02 - Parte 01

Cn Piso, cum Manilium Crispum reum ageret eumque euidenter nocentem gratia Pompei eripi uideret, iuuenili impetu ac studio accusationis prouectus multa et grauia crimina praepotenti defensori obiecit

interrogatus deinde ab eo cur non se quoque accusaret, da inquit praedes rei publicae te, si postulatus fueris, ciuile bellum non excitaturum, etiam te tuo prius quam de Manilii capite in consilium iudices mittam

ita eodem iudicio duos sustinuit reos, accusatione Manilium, libertate Pompeium, et eorum alterum lege peregit, alterum professione, qua solum poterat

Quid ergo

libertas sine Catone

non magis quam Cato sine libertate
Cneo Pisone, perseguendo in giudizio Manilio Crispo ed accorgendosi che, pur essendo manifestamente colpevole, costui veniva strappato alla condanna dall'intervento di Pompeo, spinto dal giovanile ardore e dall'entusiasmo che poneva nell'accusa, lanciò molte e gravi imputazioni contro l'avvocato difensore che prevaleva

Interrogato, quindi, da Pompeo per qual motivo non accusasse anche lui, Suvvia , disse, garantiscimi che, se sarai citato in tribunale, non solleverai una guerra civile e io manderò in consiglio i giudici a decidere della tua testa prima che di quella di Manilio

Così nel medesimo processo egli perseguì due accusati: Manlio, incriminandolo, Pompeo, parlando con franchezza, e di questi l'uno incalzò con la legge, l'altro con un'aperta dichiarazione, come soltanto poteva

() E che dunque

Si può pensare alla libertà senza Catone

Non più che si possa a Catone senza libertà
nam cum in senatorem nocentem et infamem reum iudex sedisset tabellaeque Cn Pompei laudationem eius continentes prolatae essent, procul dubio efficaces futurae pro noxio, summouit eas e quaestione legem recitando, qua cautum erat ne senatoribus tali auxilio uti liceret

huic facto persona admirationem adimit: nam quae in alio audacia uideretur, in Catone fiducia cognoscitur

Cn Lentulus Marcellinus consul, cum in contione de Magni Pompei nimia potentia quereretur, adsensusque ei clara uoce uniuersus populus esset, adclamate inquit, adclamate, Quirites, dum licet: iam enim uobis inpune facere non licebit

pulsata tunc est eximii ciuis potentia hinc inuidiosa querella, hinc lamentatione miserabili
Questi, essendosi seduto giudice nel processo contro un senatore colpevole ed accusato d'infamia, quando gli furono presentate le carte di Cneo Pompeo che ne contenevano l'elogio, destinate indubbiamente a giovare all'accusato, le escluse dal processo, recitando ad alta voce la legge che vietava ai senatori di ricorrere a tale ausilio

La personalità dell'uomo scema l'ammirazione per questo fatto: perché quella che in un altro sarebbe potuta sembrare un'azione audace, trattandosi di Catone appare come una prova di sicurezza

() Il console Cneo Lentulo Marcellino, poiché protestava nell'assemblea del popolo per l'eccesso di potenza di Pompeo Magno e il popolo all'unisono gli ebbe manifestato ad alta voce il proprio assenso, Acclamate, disse, o Quiriti, finché ciò è possibile: ché d'ora in poi non potrete più farlo impunemente

Fu colpita allora la potenza di un esimio cittadino, da una parte con una protesta che gettava discredito su Pompeo, dall'altra con un lamento volto a suscitare commiserazione

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Cui candida fascia crus alligatum habenti Fauonius non refert inquit qua in parte sit corporis diadema, exigui panni cauillatione regias ei uires exprobrans

at is neutram in partem mutato uultu utrumque cauit, ne aut hilari fronte libenter adgnoscere potentiam aut tristi iam profiteri uideretur

eaque patientia inferioris etiam generis et fortunae hominibus aditum aduersus se dedit: e quorum turba duos retulisse abunde erit

Heluius Mancia Formianus, libertini filius ultimae senectutis, L Libonem apud censores accusabat

in quo certamine cum Pompeius Magnus humilitatem ei aetatemque exprobrans ab inferis illum ad accusandum remissum dixisset, non mentiris inquit, Pompei: uenio enim ab inferis, in L Libonem accusator uenio
() A questo, che aveva la gamba fasciata con una benda bianca, Favonio: Non importa , disse, in quale parte del corpo sia legato il diadema, rimproverandogli, in tal modo, mordacemente col cavillo della piccola benda il suo potere tirannico

Ma quello, senza scomporsi in alcun senso, evitò ambedue i rischi, cioè quello di sembrar riconoscere, mostrandosi ilare, la propria potenza, o l'altro di parere che pubblicamente l'ammettesse con un atteggiamento severo

Con questa sopportazione diede anche a persone di più basso ordine e condizione la possibilità di attaccarlo: del gran numero di costoro basterà citarne due

() Elio Mancia Formiano, vecchio figlio di uno schiavo affrancato, accusava Lucio Libone presso i censori

Durante la discussione, a Pompeo Magno che, rimproverandogli la bassa condizione sociale e la tarda età, aveva detto: Ti hanno fatto tornare dagli inferi per accusare, Non menti, rispose, o Pompeo; vengo infatti dagli inferi, ci vengo come accusatore di Lucio Libone
sed dum illic moror, uidi cruentum Cn Domitium Ahenobarbum deflentem, quod summo genere natus, integerrimae uitae, amantissimus patriae, in ipso iuuentae flore tuo iussu esset occisus

uidi pari claritate conspicuum M Brutum ferro laceratum, querentem id sibi prius perfidia, deinde etiam crudelitate tua accidisse

uidi Cn Carbonem acerrimum pueritiae tuae bonorumque patris tui defensorem in tertio consulatu catenis, quas tu ei inici iusseras, uinctum, obtestantem se aduersus omne fas ac nefas, cum in summo esset imperio, a te equite Romano trucidatum

uidi eodem habitu et quiritatu praetorium uirum Perpennam saeuitiam tuam execrantem, omnesque eos una uoce indignantes, quod indemnati sub te adulescentulo carnifice occidissent
Ma, mentre ero laggiù, vidi Cneo Domizio Enobarbo in lacrime per essere stato ucciso lui di nobilissimo casato, di vita integerrima, gran patriota, nel fiore dell'età per ordine tuo

vidi Marco Bruto, ugualmente glorioso, gravemente ferito, che lamentava esser questo accaduto prima per il tuo tradimento, poi per la tua crudeltà

Ho visto Cneo Carbone, acerrimo difensore della tua prima giovinezza e delle sostanze di tuo padre durante il suo terzo consolato, avvinto in quelle catene, con le quali tu avevi ordinato che lo fosse, giurare e spergiurare di essere stato trucidato nel modo più nefando, quand'era console, da te cavaliere

Vidi in simile atteggiamento ed udii chiamare aiuto Perpenna, già pretore, e maledire la tua crudeltà, e tutti li ho sentiti ad una voce esternare il loro sdegno, perché erano stati condannati a morire senza processo, tu essendo, ancor giovane, il loro carnefice

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obducta iam uetustis cicatricibus bellorum ciuilium uastissima uulnera municipali homini, seruitutem paternam redolenti, effrenatae temeritatis, intolerabilis spiritus, inpune renouare licuit

itaque eodem tempore et fortissimum erat Cn Pompeio maledicere et tutissimum

sed non patitur nos hoc longiore querella prosequi personae insequentis aliquanto sors humilior

Diphilus tragoedus, cum Apollinaribus ludis inter actum ad eum uersum uenisset, in quo haec sententia continetur, miseria nostra magnus est, directis in Pompeium Magnum manibus pronuntiauit, reuocatusque aliquotiens a populo sine ulla cunctatione nimiae illum et intolerabilis potentiae reum gestu perseueranter egit

eadem petulantia usus est in ea quoque parte, uirtutem istam ueniet tempus cum grauiter gemes

M etiam Castricii libertate inflammatus animus
Al cittadino di un municipio, che odorava ancora della condizione servile del padre, ma temerario sino alla follia e intollerante, fu lecito riaprire impunemente le immense ferite delle guerre civili, richiuse da ormai vetuste cicatrici

E così dir male di Pompeo era un atto coraggiosissimo, ma che nello stesso tempo non comportava rischio alcuno

Ma la condizione più umile del personaggio che segue non ci permette di soffermarci più a lungo sui casi lamentati

() L'attore tragico Difilo, nel corso di una rappresentazione data durante i ludi in onore di Apollo, quando arrivò al verso che dice per nostra infelicità è grande , lo pronunziò con le mani rivolte verso Pompeo Magno e, invitato alcune volte dagli spettatori a bissare la battuta, senza esitare affatto alluse perseverantemente col gesto alla sua colpa d'intollerabile eccesso di potere

La stessa franchezza egli usò anche nel passo che dice: verrà il tempo in cui gemerai gravemente di questa virtù

() Da spirito di libertà fu infiammato anche l'animo di Marco Castricio

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