Tacito, Annales: Libro 13, 01-24, pag 4

Tacito, Annales: Libro 13, 01-24

Latino: dall'autore Tacito, opera Annales parte Libro 13, 01-24

nec si Iturius et Calvisius adesis omnibus fortunis novissimam suscipiendae accusationis operam anui rependunt, ideo aut mihi infamia parricidii aut Caesari conscientia subeunda est

nam Domitiae inimicitiis gratias agerem, si benevolentia mecum in Neronem meum certaret: nunc per concubinum Atimetum et histrionem Paridem quasi scaenae fabulas componit

Baiarum suarum piscinas extollebat, cum meis consiliis adoptio et proconsulare ius et designatio consulatus et cetera apiscendo imperio praepararentur

aut exsistat qui cohortes in urbe temptatas, qui provinciarum fidem labefactatam, denique servos vel libertos ad scelus corruptos arguat

vivere ego Britannico potiente rerum poteram
Se Iturio e Calvisio, dopo lo sperpero delle loro sostanze, vogliono vendere a una vecchia questo loro ultimo servizio di presentarsi come accusatori, non per questo devo subire io l'infamia dell'assassinio di mio figlio o Cesare il rimorso

Sarei grata a Domizia della sua avversione, se gareggiasse con me in amore per il mio Nerone: ma ora si serve del concubino Atimeto e dell'istrione Paride per inscenare questa commedia

Lei non faceva che esaltare i vivai di pesci della sua cara Baia, mentre, con le mie iniziative, io assicuravo a Nerone l'adozione, la carica di proconsole, la designazione al consolato e quanto serve a giungere al potere

Oppure si faccia avanti qualcuno ad accusarmi d'aver sobillato a Roma le coorti pretorie, d'aver minacciato la fedeltà delle province o infine d'aver corrotto schiavi e liberti per spingerli al delitto

Avrei potuto vivere, se al potere ci fosse stato Britannico
ac si Plautus aut quis alius rem publicam iudicaturus obtinuerit, desunt scilicet mihi accusatores, qui non verba impatientia caritatis aliquando incauta, sed ea crimina obiciant, quibus nisi a filio absolvi non possim’

commotis qui aderant ultroque spiritus eius mitigantibus, colloquium filii exposcit, ubi nihil pro innocentia, quasi diffideret, nec [de] beneficiis, quasi exprobraret, disseruit, sed ultionem in delatores et praemia amicis obtinuit

[22] Praefectura annonae Faenio Rufo, cura ludorum, qui a Caesare parabantur, Arruntio Stellae, Aegyptus C[laudio] Balbillo permittuntur

Syria P Anteio destinata; sed variis mox artibus elusus, ad postremum in urbe retentus est
E quando Plauto, o chi altri, dovesse impossessarsi dello stato, per poi mettermi in stato d'accusa, non potrebbe certo non mancare chi mi imputi non già d'aver pronunciato, per eccesso d'amore, parole a volte incaute, ma d'aver commesso quei crimini da cui non potrei essere assolta se non da mio figlio

I presenti erano commossi ed erano essi, ora, a calmare il suo sdegno, ma lei chiese un colloquio col figlio, in cui non parlò della sua innocenza, quasi ne diffidasse, né dei meriti da lei acquisiti, per non sembrare che li rinfacciasse, ma solo della vendetta contro i delatori e dei premi per gli amici fedeli, e l'ottenne

22 Furono assegnate la prefettura dell'annona a Fenio Rufo, l'organizzazione dei giochi, che Nerone stava allestendo, ad Arrunzio Stella, l'Egitto a Claudio Balbillo

La Siria fu destinata a Publio Anteio, che però, raggirato con vari pretesti, finì per essere trattenuto a Roma
at Silana in exilium acta; Calvisius quoque et Iturius relegantur; de Atimeto supplicium sumptum, validiore apud libidines principis Paride, quam ut poena adficeretur

Plautus ad praesens silentio transmissus est

[23] Deferuntur dehinc consensisse Pallas ac Burrus, ut Cornelius Sulla claritudine generis et adfinitate Claudii, cui per nuptias Antoniae gener erat, ad imperium vocaretur

eius accusationis auctor extitit Paetus quidam, exercendis apud aerarium sectionibus famosus et tum vanitatis manifestus

nec tam grata Pallantis innocentia quam gravis superbia fuit: quippe nominatis libertis eius, quos conscios haberet, respondit nihil umquam se domi nisi nutu aut manu significasse, vel, si plura demonstranda essent, scripto usum, ne vocem consociaret

Burrus quamvis reus inter iudices sententiam dixit
Silana fu inviata in esilio, e anche Calvisio e Iturio vennero relegati; Atimeto fu giustiziato, mentre Paride era troppo necessario alle dissolutezze del principe per subire una condanna

Di Plauto, per il momento, non si fece parola

23 Pallante e Burro subirono poi la denuncia di aver complottato per innalzare all'impero Cornelio Silla, contando sulla nobiltà della famiglia e sul fatto che era genero di Claudio per aver sposato Antonia

Il responsabile dell'accusa risultò un tal Peto, famigerato profittatore nelle aste dei beni confiscati, delle cui affermazioni fu dimostrata l'infondatezza

Se l'innocenza di Pallante fece piacere, dispiacque però la sua alterigia: di fronte all'elenco dei nomi dei suoi liberti indicati come complici, rispose che, in casa sua, aveva espresso la sua volontà sempre e solo con un cenno del capo o della mano, oppure, se doveva impartire più ordini, con uno scritto, per non accomunare la sua voce a quella di altri

Burro, benché indiziato, sedette tra i giudici e da lì si espresse

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exiliumque accusatori inrogatum et tabulae exustae sunt, quibus oblitterata aerarii nomina retrahebat

[24] Fine anni statio cohortis adsidere ludis solita demovetur, quo maior species libertatis esset, utque miles theatrali licentiae non permixtus incorruptior ageret et plebes daret experimentum, an amotis custodibus modestiam retineret

urbem princeps lustravit ex responso haruspicum, quod Iovis ac Minervae aedes de caelo tactae erant

All'accusatore fu irrogato l'esilio e vennero bruciati i registri, in cui faceva rivivere i crediti dell'erario già prescritti

24 Sul finire dell'anno, venne ritirata la coorte che presenziava, con funzioni di guardia, agli spettacoli, perché l'apparenza della libertà fosse più vistosa e perché la moralità dei soldati, tenuti lontani dalla sfrenata permissività degli spettacoli, subisse meno guasti, e anche per vedere se la plebe, con l'allontanamento degli addetti all'ordine pubblico, sapeva dar prova di moderazione

Attenendosi al responso degli aruspici, il principe purificò Roma, perché i templi di Giove e di Minerva erano stati colpiti dal fulmine

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