Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 03

Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 03

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 03

Motibus astrorum nunc quae sit causa canamus

principio magnus caeli si vortitur orbis, ex utraque polum parti premere aëra nobis dicendum est extraque tenere et claudere utrimque

inde alium supra fluere atque intendere eodem quo volvenda micant aeterni sidera mundi; aut alium supter, contra qui subvehat orbem, ut fluvios versare rotas atque austra videmus

est etiam quoque uti possit caelum omne manere in statione, tamen cum lucida signa ferantur, sive quod inclusi rapidi sunt aetheris aestus quaerentesque viam circum versantur et ignes passim per caeli volvunt summania templa

sive aliunde fluens alicunde extrinsecus aër versat agens ignis, sive ipsi serpere possunt, quo cuiusque cibus vocat atque invitat euntis, flammea per caelum pascentis corpora passim
Ora cantiamo quale sia la causa dei movimenti degli astri

Anzitutto, se la grande sfera del cielo gira intorno, dobbiamo dire che l'aria preme sui poli alle due estremità dell'asse e la tiene a posto dall'esterno e la chiude da ambo i lati

altra aria, poi, fluisce al di sopra e tende alla stessa meta verso cui girano brillando gli astri dell'eterno mondo; o altra aria fluisce di sotto e trascina la sfera in senso opposto, come vediamo i fiumi far girare ruote e secchie

Può anche darsi che tutto il cielo resti immoto, mentre frattanto i lucidi astri sono in movimento, o perché vi sono rinchiuse le rapide correnti dell'etere e, cercando una via, s'aggirano tutt'intorno e così volgono i fuochi qua e là per le notturne volte del cielo

o un'aria, che fluisce da un altro luogo qualsiasi al di fuori, trascina e fa girare i fuochi; o possono essi stessi scivolare dove il cibo d'ognuno li chiama e invita mentre procedono, pascendo qua e là per il cielo i loro corpi di fuoco
nam quid in hoc mundo sit eorum ponere certum difficilest; sed quid possit fiatque per omne in variis mundis varia ratione creatis, id doceo plurisque sequor disponere causas, motibus astrorum quae possint esse per omne

e quibus una tamen sit et haec quoque causa necessest, quae vegeat motum signis; sed quae sit earum praecipere haud quaquamst pedetemptim progredientis

Terraque ut in media mundi regione quiescat, evanescere paulatim et decrescere pondus convenit atque aliam naturam supter habere ex ineunte aevo coniunctam atque uniter aptam partibus aëriis mundi, quibus insita vivit
Infatti è difficile dare per certo quale di tali cause operi in questo mondo; ma che cosa possa avvenire e avvenga per tutto l'universo nei vari mondi in vario modo creati, questo io insegno, e proseguo a esporre diverse cause che possono produrre i movimenti degli astri per l'universo

fra esse tuttavia una sola dev'essere anche in questo mondo la causa che dà vita al movimento delle stelle; ma spiegare quale di esse sia, non è affatto proprio di chi avanza passo passo

E perché la terra resti ferma nel mezzo del mondo, bisogna che il peso svanisca a poco a poco e decresca, e che di sotto essa abbia un'altra natura, dall'inizio dell'esistenza congiunta e strettamente unita con le parti aeree del mondo in cui è incorporata e vive
propterea non est oneri neque deprimit auras, ut sua cuique homini nullo sunt pondere membra nec caput est oneri collo nec denique totum corporis in pedibus pondus sentimus inesse; at quae cumque foris veniunt inpostaque nobis pondera sunt laedunt, permulto saepe minora

usque adeo magni refert quid quaeque queat res

sic igitur tellus non est aliena repente allata atque auris aliunde obiecta alienis, sed pariter prima concepta ab origine mundi certaque pars eius, quasi nobis membra videntur

Praeterea grandi tonitru concussa repente terra supra quae se sunt concutit omnia motu; quod facere haut ulla posset ratione, nisi esset partibus aëriis mundi caeloque revincta

nam communibus inter se radicibus haerent ex ineunte aevo coniuncta atque uniter aucta
Perciò non è di peso all'aria, né la preme giù; come su ogni uomo non gravano le sue membra, né la testa è di peso al collo, e, infine, non sentiamo che tutto il peso del corpo poggia sui piedi; mentre tutti i pesi che vengono dall'esterno e ci sono imposti, ci molestano, quantunque sovente di gran lunga minori

Di così grande importanza è quale potere abbia ciascuna cosa

Così dunque la terra non s'aggiunse d'improvviso come estranea, né da un altro luogo fu gettata su aria estranea, ma insieme fu concepita sin dalla prima origine del mondo e come parte determinata d'esso, quali si vedono in noi le membra

Inoltre, scossa d'un tratto da un gran tuono, la terra col suo moto scuote tutto quanto le sta sopra; ciò non potrebbe essa fare in alcun modo, se non fosse connessa con le parti aeree del mondo e col cielo

In effetti mediante comuni radici aderiscono tra loro, dall'inizio dell'esistenza congiunti e strettamente uniti

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 06
Lucrezio, De rerum natura: Libro 05 Parte 06

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 05 Parte 06

Nonne vides etiam quam magno pondere nobis sustineat corpus tenuissima vis animai, propterea quia tam coniuncta atque uniter apta est

Denique iam saltu pernici tollere corpus quid potis est nisi vis animae, quae membra gubernat

iamne vides quantum tenuis natura valere possit, ubi est coniuncta gravi cum corpore, ut aër coniunctus terris et nobis est animi vis

Nec nimio solis maior rota nec minor ardor esse potest, nostris quam sensibus esse videtur nam quibus e spatiis cumque ignes lumina possunt adiicere et calidum membris adflare vaporem, nil magnis intervallis de corpore libant flammarum, nihil ad speciem est contractior ignis

proinde, calor quoniam solis lumenque profusum perveniunt nostros ad sensus et loca fulgent, forma quoque hinc solis debet filumque videri, nil adeo ut possis plus aut minus addere vere
Non vedi anche come il nostro corpo è sostenuto, benché molto pesante, dalla sottilissima forza dell'anima, perché essa gli è tanto congiunta e strettamente unita

E infine, che cosa può sollevare il corpo con agile balzo, se non la forza dell'anima che governa le membra

Non vedi oramai quanto possa essere grande la forza d'una natura sottile, quando è unita a un corpo pesante, come l'aria è unita alla terra e la forza dell'animo a noi

Né la ruota del sole può essere molto maggiore, né il suo calore molto minore di quel che appare ai nostri sensi Giacché, da qualsiasi distanza possano i fuochi lanciarci la luce e soffiare sulle membra l'ardente calore, nulla la distanza toglie al corpo delle fiamme per il suo intervallo, per nulla il fuoco è ristretto alla vista

Quindi, poiché il calore del sole e la luce ch'esso spande arrivano ai nostri sensi e i luoghi ne rifulgono, anche la forma e la grandezza del sole devono esser viste di qui quali sono davvero, sì che nulla puoi aggiungervi o toglierne
[perveniunt nostros ad sensus et loca fulgent] lunaque sive notho fertur loca lumine lustrans, sive suam proprio iactat de corpore lucem, quidquid id est, nihilo fertur maiore figura quam, nostris oculis qua cernimus, esse videtur

nam prius omnia, quae longe semota tuemur aëra per multum, specie confusa videntur quam minui filum

quapropter luna necesse est, quandoquidem claram speciem certamque figuram praebet, ut est oris extremis cumque notata, quanta quoquest, tanta hinc nobis videatur in alto

postremo quos cumque vides hinc aetheris ignes, scire licet perquam pauxillo posse minores esse vel exigua maioris parte brevique quandoquidem quos cumque in terris cernimus [ignes], dum tremor [et] clarus dum cernitur ardor eorum, perparvom quiddam inter dum mutare videntur alteram utram in partem filum, quo longius absunt
E la luna, sia che viaggi illuminando i luoghi con luce estranea, sia che emetta sua luce dal proprio corpo, viaggia comunque con una forma per nulla maggiore di quella con cui ci appare quando la vedono i nostri occhi

Infatti tutte le cose che scorgiamo a grande distanza, attraverso molta aria, si vedon confuse all'aspetto prima che ne sembri diminuita la grandezza

Pertanto la luna, giacché presenta chiaro aspetto e netta forma, dev'esser vista da noi, di quaggiù, nell'alto così come essa è delineata dagli estremi contorni e grande quanto lo è davvero

Infine tutti i fuochi del cielo che vedi di quaggiù: poiché tutti i fuochi che scorgiamo sulla terra, finché il loro scintillìo è chiaro, finché la loro fiamma è scorta, solo un tantino si vedono talora mutare in più o in meno la loro grandezza, a seconda della distanza, si può concludere che di pochissimo possono essere minori di come ci appaiono o d'un'esigua e breve parte maggiori

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 01 Parte 02

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 01 Parte 02

Illud item non est mirandum, qua ratione tantulus ille queat tantum sol mittere lumen, quod maria ac terras omnis caelumque rigando compleat et calido perfundat cuncta vapore

[quanta quoquest tanta hinc nobis videatur in alto] nam licet hinc mundi patefactum totius unum largifluum fontem scatere atque erumpere lumen, ex omni mundo quia sic elementa vaporis undique conveniunt et sic coniectus eorum confluit, ex uno capite hic ut profluat ardor

nonne vides etiam quam late parvus aquai prata riget fons inter dum campisque redundet

est etiam quoque uti non magno solis ab igni aëra percipiat calidis fervoribus ardor, opportunus ita est si forte et idoneus aër, ut queat accendi parvis ardoribus ictus; quod genus inter dum segetes stipulamque videmus accidere ex una scintilla incendia passim
Neppure di questo ci si deve stupire, come il sole, pur così piccolo, possa emettere tanta luce da riempire dei suoi raggi i mari e tutte le terre e il cielo, e inondare del suo ardente calore tutte le cose

Può darsi infatti che in tutto il mondo s'apra di qui l'unica fonte che faccia scaturire con flusso abbondante e prorompere la luce, perché da ogni parte del mondo in tal modo gli elementi ignei si raccolgono e in tal modo il loro ammasso confluisce che l'ardore sgorga qui da un'unica sorgente

Non vedi anche quanto ampiamente una piccola fonte d'acqua talora inondi i prati e trabocchi sulla pianura

Può anche essere che dal fuoco del sole, benché non grande, una vampa invada l'aria col suo fervere ardente, se per caso l'aria è così convenientemente acconcia da potersi accendere colpita da vampe leggere; come talora da una sola scintilla vediamo piombare su messi e stoppie un incendio diffuso
forsitan et rosea sol alte lampade lucens possideat multum caecis fervoribus ignem circum se, nullo qui sit fulgore notatus, aestifer ut tantum radiorum exaugeat ictum

Nec ratio solis simplex [et] recta patescit, quo pacto aestivis e partibus aegocerotis brumalis adeat flexus atque inde revertens canceris ut vertat metas ad solstitialis, lunaque mensibus id spatium videatur obire, annua sol in quo consumit tempora cursu

non, inquam, simplex his rebus reddita causast

nam fieri vel cum primis id posse videtur, Democriti quod sancta viri sententia ponit, quanto quaeque magis sint terram sidera propter, tanto posse minus cum caeli turbine ferri; evanescere enim rapidas illius et acris imminui supter viris, ideoque relinqui paulatim solem cum posterioribus signis, inferior multo quod sit quam fervida signa
O forse il sole, che con rosea fiaccola splende nell'alto, ha intorno a sé molto fuoco che ferve invisibile, che non è indicato da alcun fulgore, sì che, carico di calore, accresce solo la violenza dei raggi

Né si dà un'unica e immediata possibilità di spiegare in che modo il sole s'avvicini dalle regioni estive al tropico invernale del Capricorno, e come, ritornando di là, si volga alla meta solstiziale del Cancro, e come si veda la luna percorrere tutti i mesi lo spazio in cui il sole correndo consuma il tempo di un anno

Non c'è, dico, un'unica causa assegnata a queste cose

Prima di tutto, infatti, sembra che possa avvenire ciò che afferma l'opinione di Democrito, uomo venerabile: quanto più i vari astri sono vicini alla terra, tanto meno essi possono esser tratti col turbine del cielo; giacché la sua rapida e veemente forza diminuisce e si perde in basso; e il sole è a poco a poco lasciato indietro con le costellazioni posteriori per questo perché è molto meno alto delle costellazioni ardenti

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Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 02

et magis hoc lunam: quanto demissior eius cursus abest procul a caelo terrisque propinquat, tanto posse minus cum signis tendere cursum

flaccidiore etiam quanto iam turbine fertur inferior quam sol, tanto magis omnia signa hanc adipiscuntur circum praeterque feruntur

propterea fit ut haec ad signum quodque reverti mobilius videatur, ad hanc quia signa revisunt

fit quoque ut e mundi transversis partibus aër alternis certo fluere alter tempore possit, qui queat aestivis solem detrudere signis brumalis usque ad flexus gelidumque rigorem

et qui reiciat gelidis a frigoris umbris aestiferas usque in partis et fervida signa

et ratione pari lunam stellasque putandumst, quae volvunt magnos in magnis orbibus annos, aëribus posse alternis e partibus ire
E ancor più di questo la luna: quanto più basso è il suo corso, quanto più s'allontana dal cielo e s'appressa alla terra, tanto meno essa può dirigere il corso gareggiando con gli astri

Anzi, quanto più lento è il turbine da cui essa è tratta trovandosi al disotto del sole, tanto più tutti gli astri la raggiungono girandole intorno e la sorpassano

E perciò avviene ch'essa sembri tornare a ogni astro più celermente: perché sono gli astri che di nuovo la raggiungono

Può anche avvenire che da regioni del mondo che attraversano il corso del sole fluiscano a turno due correnti d'aria, ciascuna in una stagione determinata: una che possa cacciare il sole dalle costellazioni estive al tropico invernale e al rigido gelo

l'altra che dalle gelide ombre del freddo lo ricacci fino alle regioni cariche di calore e alle costellazioni ardenti

E similmente si deve credere che la luna e le stelle, che volgono in grandi orbite i grandi anni, possano muoversi per correnti d'aria da opposte regioni alternamente
nonne vides etiam diversis nubila ventis diversas ire in partis inferna supernis

qui minus illa queant per magnos aetheris orbis aestibus inter se diversis sidera ferri

At nox obruit ingenti caligine terras, aut ubi de longo cursu sol ultima caeli impulit atque suos efflavit languidus ignis concussos itere et labefactos aëre multo, aut quia sub terras cursum convortere cogit vis eadem, supra quae terras pertulit orbem

Tempore item certo roseam Matuta per oras aetheris auroram differt et lumina pandit, aut quia sol idem, sub terras ille revertens, anticipat caelum radiis accendere temptans, aut quia conveniunt ignes et semina multa confluere ardoris consuerunt tempore certo, quae faciunt solis nova semper lumina gigni
Non vedi anche le nuvole più basse andare, per forza di venti opposti, in direzione opposta a quella delle più alte

Perché non potrebbero quegli astri, per le grandi orbite dell'etere, volgersi per forza di correnti opposte fra loro

Ma la notte ricopre d'enorme tenebra la terra, o quando, al termine del lungo corso, il sole ha battuto alle estreme regioni del cielo e, fiaccato, ha spirato i suoi fuochi scossi dal viaggio e indeboliti dalla molta aria attraversata, o perché lo costringe a volgere il corso sotto la terra la stessa forza che ha portato il suo giro sopra la terra

Parimenti a un'ora fissa Matuta diffonde la rosea aurora per le plaghe dell'etere e propaga la luce, o perché lo stesso sole, che ritorna di sotto la terra, occupa prima il cielo coi raggi tentando di accenderlo, o perché fuochi si raccolgono e molti semi di calore son soliti confluire a un'ora fissa e fanno che ogni giorno nasca la luce di un nuovo sole

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quod genus Idaeis fama est e montibus altis dispersos ignis orienti lumine cerni, inde coire globum quasi in unum et conficere orbem

nec tamen illud in his rebus mirabile debet esse, quod haec ignis tam certo tempore possint semina confluere et solis reparare nitorem

multa videmus enim, certo quae tempore fiunt omnibus in rebus

florescunt tempore certo arbusta et certo dimittunt tempore florem

nec minus in certo dentes cadere imperat aetas tempore et inpubem molli pubescere veste et pariter mollem malis demittere barbam

fulmina postremo nix imbres nubila venti non nimis incertis fiunt in partibus anni

namque ubi sic fuerunt causarum exordia prima atque ita res mundi cecidere ab origine prima, conseque quoque iam redeunt ex ordine certo
così è fama che dalle alte cime dell'Ida fuochi sparsi si vedano al sorgere della luce, poi s'uniscano come in un globo e formino il disco del sole

Né tuttavia in queste cose dovrebbe suscitar meraviglia che a un'ora così fissa questi semi di fuoco possano confluire e rinnovare lo splendore del sole

Giacché vediamo molti fenomeni che avvengono a data fissa in tutte le cose

Fioriscono a data fissa gli alberi e a data fissa fanno cadere il fiore

A data non meno fissa il tempo ingiunge che cadano i denti, e che l'impubere entri nella pubertà rivestendosi di molle lanugine, e faccia scendere da entrambe le guance morbida barba

Infine i fulmini, la neve, le piogge, le nuvole, i venti si producono in periodi dell'anno non troppo incerti

Infatti, poiché tali furono i primi principi delle cause e così le cose si svolsero fin dall'origine prima del mondo, anche oggi ritornano l'uno dopo l'altro in ordine fisso

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