Lucrezio, De rerum natura: Libro 04 Parte 02

Lucrezio, De rerum natura: Libro 04 Parte 02

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 04 Parte 02

An poterunt oculos aures reprehendere, an aures tactus

an hunc porro tactum sapor arguet oris, an confutabunt nares oculive revincent

non, ut opinor, ita est

nam seorsum cuique potestas divisast, sua vis cuiquest, ideoque necesse est et quod molle sit et gelidum fervensve videre et seorsum varios rerum sentire colores et quae cumque coloribus sint coniuncta necessest

seorsus item sapor oris habet vim, seorsus odores nascuntur, seorsum sonitus

ideoque necesse est non possint alios alii convincere sensus

nec porro poterunt ipsi reprehendere sese, aequa fides quoniam debebit semper haberi

proinde quod in quoquest his visum tempore, verumst
O potranno le orecchie correggere gli occhi, o il tatto le orecchie

O, d'altronde, questo tatto sarà convinto d'errore dal gusto della bocca, o lo confuteranno le nari, o gli occhi lo smentiranno

Non è così, io penso

Giacché ogni senso ha un potere specialmente distinto, ciascuno ha una facoltà propria, e perciò è necessario percepire con un senso speciale ciò che è molle e gelido o infocato, e con un senso speciale i vari colori delle cose, e vedere quanto ai colori è congiunto

Una speciale facoltà ha pure il gusto della bocca, per una via speciale sorgono gli odori, per un'altra speciale i suoni

Si deve perciò concludere che i sensi non possono confutarsi a vicenda

E neanche potranno correggersi da sé, poiché uguale fiducia si dovrà sempre ad essi accordare

Quindi ciò che in ogni momento è a questi apparso, è vero
Et si non poterit ratio dissolvere causam, cur ea quae fuerint iuxtim quadrata, procul sint visa rutunda, tamen praestat rationis egentem reddere mendose causas utriusque figurae, quam manibus manifesta suis emittere quoquam et violare fidem primam et convellere tota fundamenta quibus nixatur vita salusque

non modo enim ratio ruat omnis, vita quoque ipsa concidat extemplo, nisi credere sensibus ausis praecipitisque locos vitare et cetera quae sint in genere hoc fugienda, sequi contraria quae sint

illa tibi est igitur verborum copia cassa omnis, quae contra sensus instructa paratast
E se non potrà la ragione discernere la causa per la quale le cose che da presso erano quadrate, da lontano sembrano rotonde, tuttavia è preferibile per difetto di ragionamento spiegare erroneamente le cause dell'una e dell'altra figura, anziché lasciarsi sfuggir via dalle mani cose manifeste e far violenza alla fede prima e sconvolgere gl'interi fondamenti su cui poggiano la vita e la salvezza

Non solo, infatti, la ragione rovinerebbe tutta: anche la stessa vita crollerebbe all'istante, se tu non osassi fidarti dei sensi ed evitare i precipizi e tutte le altre cose di questa specie che si devon fuggire, e seguire le cose che sono contrarie

Concludi dunque che è un vano mucchio di parole tutto quello che contro i sensi è stato messo insieme e approntato
Denique ut in fabrica, si pravast regula prima, normaque si fallax rectis regionibus exit, et libella aliqua si ex parti claudicat hilum, omnia mendose fieri atque obstipa necessu est prava cubantia prona supina atque absona tecta, iam ruere ut quaedam videantur velle, ruantque prodita iudiciis fallacibus omnia primis, sic igitur ratio tibi rerum prava necessest falsaque sit, falsis quae cumque ab sensibus ortast

Nunc alii sensus quo pacto quisque suam rem sentiat, haud quaquam ratio scruposa relicta est

Principio auditur sonus et vox omnis, in auris insinuata suo pepulere ubi corpore sensum

corpoream quoque enim [vocem] constare fatendumst et sonitum, quoniam possunt inpellere sensus

Praeterea radit vox fauces saepe facitque asperiora foras gradiens arteria clamor
Ancora: come in una costruzione, se il regolo al principio è storto, e se la squadra è fallace ed esce dalle linee dritte, e la livella da qualche parte zoppica un pochino, inevitabilmente tutto l'edificio riesce difettoso e piegato, storto, cascante, inclinato in avanti, inclinato all'indietro e disarmonico, sì che alcune parti sembra vogliano già precipitare, e tutto precipita, tradito dalle prime misure fallaci, così, dunque, il ragionare sulle cose deve riuscirti storto e falso, qualora da falsi sensi sia nato

Ora resta da spiegare in che modo gli altri sensi percepiscano ciascuno il proprio oggetto, spiegazione per nulla difficile

Anzitutto, suoni e voci d'ogni specie si odono quando, insinuandosi nelle orecchie, hanno colpito il senso col loro corpo

Bisogna infatti riconoscere che anche la voce e il suono hanno natura corporea , giacché possono urtare i sensi

D'altronde, la voce raschia spesso la gola e il grido prorompendo inasprisce la trachea

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Lucrezio, De rerum natura: Libro 03 Parte 04
Lucrezio, De rerum natura: Libro 03 Parte 04

Latino: dall'autore Lucrezio, opera De rerum natura parte Libro 03 Parte 04

quippe per angustum turba maiore coorta ire foras ubi coeperunt primordia vocum scilicet expletis quoque ianua raditur oris

haud igitur dubiumst quin voces verbaque constent corporeis e principiis, ut laedere possint

nec te fallit item quid corporis auferat et quid detrahat ex hominum nervis ac viribus ipsis perpetuus sermo nigrai noctis ad umbram aurorae perductus ab exoriente nitore, praesertim si cum summost clamore profusus

ergo corpoream vocem constare necessest, multa loquens quoniam amittit de corpore partem

Asperitas autem vocis fit ab asperitate principiorum et item levor levore creatur
Giacché, quando gli elementi delle voci, lanciati in folla soverchia per l'angusto passaggio, hanno cominciato a uscire, naturalmente, riempita la gola, vien raschiata anche l'entrata della bocca

Non è dubbio, dunque, che le voci e le parole constano di elementi corporei, sì che possono produrre lesioni

E parimenti non ti sfugge quanta parte di corpo porti via e quanta parte tolga ai nervi e alle forze stesse degli uomini un discorso continuo, fino all'ombra della nera notte protratto dal sorgente splendore dell'aurora, soprattutto se viene emesso con altissimo gridare

Dunque la voce deve constare di elementi corporei, giacché chi molto parla perde parte del corpo

E l'asprezza della voce è prodotta dall'asprezza dei primi elementi, e così la levigatezza viene dalla levigatezza
nec simili penetrant auris primordia forma, cum tuba depresso graviter sub murmure mugit et reboat raucum retro cita barbita bombum, et [iam] Dauliades natae hortis ex Heliconis cum liquidam tollunt lugubri voce querellam

Hasce igitur penitus voces cum corpore nostro exprimimus rectoque foras emittimus ore, mobilis articulat nervorum daedala lingua, formaturaque labrorum pro parte figurat

hoc ubi non longum spatiumst unde illa profecta perveniat vox quaeque, necessest verba quoque ipsa plane exaudiri discernique articulatim; servat enim formaturam servatque figuram

at si inter positum spatium sit longius aequo, aëra per multum confundi verba necessest et conturbari vocem, dum transvolat auras

ergo fit, sonitum ut possis sentire neque illam internoscere, verborum sententia quae sit; usque adeo confusa venit vox inque pedita
Né primi elementi di forma simile penetrano le orecchie, quando una tromba con basso murmure gravemente mugge e col riecheggiare del suono produce barbara un rauco rimbombo, e quando dell'Elicona levano con lugubre voce un limpido lamento

Queste voci, dunque, quando dal profondo del nostro corpo le tiriamo e direttamente per la bocca le mandiamo fuori, le articola la mobile lingua, artefice di parole, e le foggia per parte sua la conformazione delle labbra

Per questo, se non è lunga la distanza da cui ognuna di quelle voci parte e arriva a noi, anche le stesse parole si devono chiaramente udire e distinguere secondo le articolazioni: ogni voce infatti conserva la disposizione e conserva la forma

Ma, se lo spazio frapposto è troppo ampio, di necessità le parole, attraversando molta aria, si confondono e la voce si perturba nel volare attraverso i venti

Così accade che tu possa sentire il suono, senza tuttavia distinguere quale sia il senso di quelle parole: a tal punto la voce arriva confusa e intralciata

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Praeterea verbum saepe unum perciet auris omnibus in populo missum praeconis ab ore

in multas igitur voces vox una repente diffugit, in privas quoniam se dividit auris obsignans formam verbis clarumque sonorem

at quae pars vocum non auris incidit ipsas, praeter lata perit frustra diffusa per auras

pars solidis adlisa locis reiecta sonorem reddit et inter dum frustratur imagine verbi Quae bene cum videas, rationem reddere possis tute tibi atque aliis, quo pacto per loca sola saxa paris formas verborum ex ordine reddant palantis comites com montis inter opacos quaerimus et magna dispersos voce ciemus

sex etiam aut septem loca vidi reddere vocis, unam cum iaceres: ita colles collibus ipsi verba repulsantes iterabant dicta referri
Inoltre, un'unica parola, emessa dalla bocca di un banditore, spesso in un'assemblea percuote le orecchie di tutti i presenti

In molte voci, dunque, un'unica voce d'un tratto si spande, se è vero che arriva separata a tutte le singole orecchie, imprimendo alle parole il suggello della forma e del chiaro suono

Ma quella parte di voci che non cade nelle orecchie stesse, passando oltre si perde, diffusa invano per l'aria

Un'altra parte, urtando contro luoghi occupati da cose compatte, è rimandata indietro e ci riporta il suono, e talora c'inganna con l'eco d'una parola Se discerni bene ciò, puoi spiegare a te stesso e agli altri in che modo per luoghi solitari le rocce rimandino uguali le forme delle parole, in ordine, quando cerchiamo i compagni vaganti tra i monti ombrosi, e li chiamiamo a gran voce, mentre sono sparsi qua e là

Ho veduto luoghi rimandare anche sei o sette voci, quando ne gettavi solo una: così i colli stessi, ai colli rinviando le parole, rinnovavano l'eco di ciò che era stato detto
haec loca capripedes Satyros Nymphasque tenere finitimi fingunt et Faunos esse locuntur, quorum noctivago strepitu ludoque iocanti adfirmant volgo taciturna silentia rumpi chordarumque sonos fieri dulcisque querellas, tibia quas fundit digitis pulsata canentum, et genus agricolum late sentiscere, quom Pan pinea semiferi capitis velamina quassans unco saepe labro calamos percurrit hiantis, fistula silvestrem ne cesset fundere musam

cetera de genere hoc monstra ac portenta loquontur, ne loca deserta ab divis quoque forte putentur sola tenere

ideo iactant miracula dictis aut aliqua ratione alia ducuntur, ut omne humanum genus est avidum nimis auricularum

Quod super est, non est mirandum qua ratione, per loca quae nequeunt oculi res cernere apertas, haec loca per voces veniant aurisque lacessant
In questi luoghi gli abitanti delle vicinanze s'immaginano che risiedano i capripedi Satiri e le Ninfe, e dicono che ci sono i Fauni, e affermano che dal loro strepito vagante nella notte e dai loro giochi buffi son rotti spesso i taciturni silenzi, e suoni di corde si levano, e dolci lamenti, che effonde il flauto toccato dalle dita dei sonatori, e la gente delle campagne per ampia distesa l'ode, quando Pan, scotendo le fronde di pino che gli velano il capo semiferino, con il labbro adunco spesso percorre le cave canne, perché la zampogna non cessi d'effondere la silvestre armonia

Ogni altro prodigio e portento di tale specie raccontano, perché non si creda che risiedano in luoghi solitari, abbandonati anche dagli dèi

Perciò vantano miracoli nei loro discorsi o da qualche altra ragione vi sono indotti, dal momento che tutto il genere umano è troppo avido di orecchie intente

Quanto al resto, non c'è da stupire se per quegli stessi luoghi attraverso cui gli occhi non possono vedere cose palesi, le voci passano e giungono a colpire le orecchie

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conloquium clausis foribus quoque saepe videmus ni mirum quia vox per flexa foramina rerum incolumis transire potest, simulacra renutant

perscinduntur enim, nisi recta foramina tranant, qualia sunt vitrei, species qua travolat omnis

praeterea partis in cunctas dividitur vox, ex aliis aliae quoniam gignuntur, ubi una dissuluit semel in multas exorta, quasi ignis saepe solet scintilla suos se spargere in ignis

ergo replentur loca vocibus abdita retro, omnia quae circum fervunt sonituque cientur

at simulacra viis derectis omnia tendunt, ut sunt missa semel; qua propter cernere nemo saepe supra potis est, at voces accipere extra

et tamen ipsa quoque haec, dum transit clausa [domorum> vox optunditur atque auris confusa penetrat et sonitum potius quam verba audire videmur
Spesso vediamo svolgersi un colloquio anche attraverso porte chiuse, senza dubbio perché la voce può passare incolume per i sinuosi meati dei corpi, mentre i simulacri vi si rifiutano

Infatti si lacerano, se non traversano meati diritti, quali son quelli del vetro, per cui ogni immagine passa a volo

Inoltre la voce si propaga in tutte le direzioni perché le voci nascono le une dalle altre una volta che una, levatasi, si è suddivisa in molte, come spesso una scintilla di fuoco suole spandersi nelle sue particelle di fuoco

Dunque s'empiono di voci luoghi nascosti allo sguardo e appartati, che tutti intorno fervono e sono agitati dal suono

Ma i simulacri procedono tutti per vie diritte, una volta che sono stati emessi; perciò nessuno può vedere oltre un recinto, mentre si possono percepire le voci di fuori

E tuttavia questa voce, anch'essa, mentre passa per i muri delle case , s'affievolisce e nelle orecchie penetra confusa, e a noi sembra di udire un suono piuttosto che parole
Hoc, qui sentimus sucum, lingua atque palatum plusculum habent in se rationis, plus operai

principio sucum sentimus in ore, cibum cum mandendo exprimimus, ceu plenam spongiam aquai siquis forte manu premere ac siccare coëpit

inde quod exprimimus per caulas omne palati diditur et rarae per flexa foramina linguae

hoc ubi levia sunt manantis corpora suci, suaviter attingunt et suaviter omnia tractant umida linguai circum sudantia templa

at contra pungunt sensum lacerantque coorta, quanto quaeque magis sunt asperitate repleta

deinde voluptas est e suco fine palati; cum vero deorsum per fauces praecipitavit, nulla voluptas est, dum diditur omnis in artus

nec refert quicquam quo victu corpus alatur, dum modo quod capias concoctum didere possis artubus et stomachi tumidum servare tenorem
Né la lingua e il palato, con cui sentiamo i sapori, richiedono un po' più di ragionamento o maggiore fatica

Anzitutto, sentiamo il sapore in bocca, quando spremiamo il cibo masticando, come se uno cominci a comprimere con la mano e a svuotare una spugna piena d'acqua

Poi ciò che spremiamo fuori, si spande tutto per i condotti del palato e per i sinuosi meati della lingua porosa

Perciò, quando sono lisci gli atomi del succo che cola, soavemente toccano e soavemente titillano tutte le umide volte che s'inarcano sulla lingua, dintorno trasudanti

Ma per contro, tanto più gli atomi pungono il senso e con l'assalto lo lacerano, quanto più son pieni d'asperità

E poi, piacere nasce dal succo entro i confini del palato; ma, quando giù per le fauci è precipitato, non v'è alcun piacere, mentre si spande tutto nelle membra

Né importa alcunché con quale vitto il corpo sia nutrito, purché ciò che ingerisci tu possa digerirlo e spanderlo nelle membra e conservare nello stomaco un'umidità costante

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Nunc aliis alius qui sit cibus ut videamus, expediam, quareve, aliis quod triste et amarumst, hoc tamen esse aliis possit perdulce videri

tantaque [in] his rebus distantia differitasque est, ut quod aliis cibus est aliis fuat acre venenum

est itaque ut serpens, hominis quae tacta salivis disperit ac sese mandendo conficit ipsa

praeterea nobis veratrum est acre venenum, at capris adipes et cocturnicibus auget

id quibus ut fiat rebus cognoscere possis, principio meminisse decet quae diximus ante, semina multimodis in rebus mixta teneri

porro omnes quae cumque cibum capiunt animantes, ut sunt dissimiles extrinsecus et generatim extima membrorum circumcaesura coërcet, proinde et seminibus constant variantque figura
Ora darò una spiegazione che ci faccia capire perché il cibo sia diverso per diversi esseri, e per che ragione ciò che per gli uni è disgustoso e amaro, possa tuttavia parere dolcissimo ad altri

E così grandi sono in tale riguardo la distanza e la discordanza che ciò che per uno è cibo, per altri è violento veleno

C'è, per esempio, un serpente che, toccato da saliva d'uomo, perisce, distruggendosi da sé, coi propri morsi

Inoltre, per noi l'elleboro è violento veleno, ma alle capre e alle quaglie accresce l'adipe

Perché tu possa conoscere per quali cause avvenga questo, anzitutto conviene ricordare ciò che abbiamo detto prima, cioè che i semi contenuti nelle cose sono misti in vari modi

D'altro canto, tutti gli esseri animati che ingeriscono cibo, come sono dissimili esternamente e come, secondo le specie, è diverso l'esterno contorno delle membra che li racchiude, così sono anche composti di semi con forme differenti

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