Livio, Ab urbe condita: Libro 10, 01-15, pag 3

Livio, Ab urbe condita: Libro 10, 01-15

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 10, 01-15

quem paenitere uotorum quae pro re publica nuncupauerint tot consules plebeii, tot dictatores, aut ad exercitus euntes aut inter ipsa bella

numerarentur duces eorum annorum, quibus plebeiorum ductu et auspicio res geri coeptae sint; numerarentur triumphi; iam ne nobilitatis quidem suae plebeios paenitere

Pro certo habere, si quod repens bellum oriatur, non plus spei fore senatui populoque Romano in patriciis quam in plebeiis ducibus

'quod cum ita se habeat, cui deorum hominumue indignum uideri potest' inquit, 'eos uiros, quos uos sellis curulibus, toga praetexta, tunica palmata, et toga picta et corona triumphali laureaque honoraritis, quorum domos spoliis hostium adfixis insignes inter alias feceritis, pontificalia atque auguralia insignia adicere
Chi si era mai lamentato dei voti pronunciati a nome dello Stato da tanti consoli e da tanti dittatori plebei prima di partire per la guerra e durante la guerra

Che andassero a passare in rassegna i comandanti di quegli anni, da quando cioè le guerre avevano cominciato a essere affidate al comando e agli auspici dei plebei; che andassero a contare i trionfi ottenuti: ormai i plebei non dovevano più lamentarsi nemmeno di essere inferiori quanto a nobiltà di sangue

Decio era sicuro che, se fosse scoppiata una guerra sul momento, il senato e il popolo romano non avrebbero fatto affidamento sui comandanti patrizi più che sui plebei

E visto che le cose stanno in questi termini, aggiunse, chi tra gli uomini e gli dèi può considerare indegno il fatto che le insegne di àuguri e pontefici vengano attribuite a quei gentiluomini che voi avete insignito delle sedie curuli, della toga pretesta, della tunica palmata, della toga ricamata, della corona trionfale e dell'alloro, le cui case avete adornato con le spoglie nemiche appese alle pareti
qui Iouis optimi maximi ornatu decoratus, curru aurato per urbem uectus in Capitolium ascenderit, is conspiciatur cum capide ac lituo, capite uelato uictimam caedet auguriumue ex arce capiet

cuius imaginis titulo consulatus censuraque et triumphus aequo animo legetur, si auguratum aut pontificatum adieceritis, non sustinebunt legentium oculi

equidem - pace dixerim deum - eos nos iam populi Romani beneficio esse spero, qui sacerdotiis non minus reddamus dignatione nostra honoris quam acceperimus et deorum magis quam nostra causa expetamus ut quos privatim colimus publice colamus
L'uomo che ha attraversato la città sul cocchio dorato ed è salito fin sul Campidoglio con indosso la veste onorata di Giove Ottimo Massimo non potrà forse farsi vedere con la coppa e il lituo, quando ucciderà le vittime col capo coperto dal velo e prenderà gli auspici dall'alto della cittadella

Se nell'iscrizione ai piedi del busto voi leggete senza rimanere sconvolti la menzione del consolato, della censura e del trionfo, pensate che i vostri occhi non sopporteranno di vedervi aggiunta quella dell'augurato e del pontificato

A essere sincero - e possano gli dèi accogliere bene le mie parole - sono fermamente convinto che noi, grazie al popolo romano, ci troviamo ormai in una posizione tale da garantire alle cariche sacerdotali, in virtù dei meriti acquisiti, non minor prestigio di quanto esse ne riceveranno da noi, e da poter chiedere, nell'interesse degli dèi più che nel nostro, di celebrare il culto pubblico di quelle divinità che noi veneriamo in privato
[8] Quid autem ego sic adhuc egi, tamquam integra sit causa patriciorum de sacerdotiis et non iam in possessione unius amplissimi simus sacerdotii

decemuiros sacris faciundis, carminum Sibyllae ac fatorum populi huius interpretes, antistites eosdem Apollinaris sacri caerimoniarumque aliarum plebeios uidemus; nec aut tum patriciis ulla iniuria facta est, cum duumviris sacris faciundis adiectus est propter plebeios numerus, et nunc tribunus, uir fortis ac strenuus, quinque augurum loca, quattuor pontificum adiecit, in quae plebeii nominentur, non ut uos, Appi, uestro loco pellant sed ut adiuuent uos homines plebeii diuinis quoque rebus procurandis, sicut in ceteris humanis pro parte virili adiuvant
[8] Ma perché, fino a questo punto, mi sono espresso come se i patrizi continuassero ad avere privilegi assoluti in materia di cariche sacerdotali, e noi non avessimo già il controllo di una di esse, e per di più molto importante

Sappiamo che sono plebei i decemviri addetti alle cose sacre, interpreti delle profezie della Sibilla e del destino di questa gente, e inoltre custodi del tempio di Apollo e depositari di altri riti; e come i patrizi non hanno subito alcun torto quando il numero dei duumviri addetti alle cose sacre è stato aumentato per far posto ai plebei, allo stesso modo un tribuno forte e intraprendente ha adesso aggiunto quattro cariche pontificali e cinque augurali riservate ai plebei, non certo per scalzarvi dai vostri posti, Appio, ma perché gli esponenti della plebe operino al vostro fianco anche nell'esercizio delle funzioni divine, come già fanno in quelle umane per quanto sta in loro potere

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Livio, Ab urbe condita: Libro 40; 31 - 35
Livio, Ab urbe condita: Libro 40; 31 - 35

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 40; 31 - 35

Noli erubescere, Appi, collegam in sacerdotio habere, quem in censura, quem in consulatu collegam habere potuisti, cuius tam dictatoris magister equitum quam magistri equitum dictator esse potes

Sabinum aduenam, principem nobilitati uestrae, seu Attium Clausum seu Ap Claudium mauoltis, illi antiqui patricii in suum numerum acceperunt: ne fastidieris nos in sacerdotum numerum accipere

Multa nobiscum decora adferimus, immo omnia eadem quae uos superbos fecerunt

L Sextius primus de plebe consul est factus, C Licinius Stolo primus magister equitum, C Marcius Rutulus primus et dictator et censor, Q Publilius Philo primus praetor
non vergognarti, Appio, di avere come collega nel sacerdozio chi può esserlo stato nella censura o nel consolato, o potrebbe essere dittatore mentre tu sei maestro di cavalleria o ancora maestro di cavalleria mentre tu eserciti la dittatura

I patrizi di un tempo accolsero tra loro uno straniero venuto dalla Sabina, capostipite della vostra nobile stirpe, l'uomo che voi chiamate Attio Clauso o Appio Claudio: di conseguenza non disdegnare di ammetterci nel numero dei sacerdoti

Portiamo con noi molti titoli di prestigio, anzi quelli stessi che vi hanno resi arroganti

Lucio Sestio fu il primo console plebeo, Gaio Licinio Stolone il primo maestro di cavalleria, Gaio Marcio Rutilo il primo dittatore e il primo censore, Quinto Publilio Filone il primo pretore
Semper ista audita sunt eadem penes uos auspicia esse, uos solos gentem habere, uos solos iustum imperium et auspicium domi militiaeque; aeque adhuc prosperum plebeium et patricium fuit porroque erit

En unquam fando audistis patricios primo esse factos non de caelo demissos sed qui patrem ciere possent, id est, nihil ultra quam ingenuos

consulem iam patrem ciere possum auumque iam poterit filius meus

Nihil est aliud in re, Qvirites, nisi ut omnia negata adipiscamur; certamen tantum patricii petunt nec curant quem euentum certaminum habeant

Ego hanc legem, quod bonum faustum felixque sit uobis ac rei publicae, uti rogas, iubendam censeo
Da voi abbiamo sempre sentito le stesse argomentazioni: che gli auspici appartengono a voi, che voi soli avete sangue nobile, voi soli il potere legittimo nonché il diritto di prendere gli auspici in pace e in guerra; ma fino a oggi il comando affidato ai patrizi e quello affidato ai plebei hanno fatto registrare gli stessi risultati, e sempre sarà così negli anni a venire

Ma non avete mai sentito dire che in origine a essere chiamati patrizi non furono esseri scesi dal cielo, ma piuttosto quelli che potevano chiamare il padre, o più semplicemente quanti erano nati liberi

Io posso ormai chiamare padre un console, e mio figlio potrà chiamare console suo nonno

Quindi, Qviriti, qui null'altro è in causa se non il fatto che ci venga concesso quanto ci era prima negato; la sola cosa che i patrizi cercano è il confronto politico, senza preoccuparsi dell'esito

Io sono dell'idea che questa legge dovrebbe essere approvata così com'è stata presentata, e che ciò possa essere motivo di prosperità per voi e per il paese

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Livio, Ab urbe condita: Libro 21; 31-40
Livio, Ab urbe condita: Libro 21; 31-40

Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 21; 31-40

[9] Vocare tribus extemplo populus iubebat apparebatque accipi legem; ille tamen dies intercessione est sublatus

Postero die deterritis tribunis ingenti consensu accepta est

Pontifices creantur suasor legis P Decius Mus P Sempronius Sophus C Marcius Rutulus M Liuius Denter; quinque augures item de plebe, C Genucius P Aelius Paetus M Minucius Faesus C Marcius T Publilius

Ita octo pontificum, nouem augurum numerus factus

Eodem anno M Valerius consul de prouocatione legem tulit diligentius sanctam

Tertio ea tum post reges exactos lata est, semper a familia eadem

Causam renouandae saepius haud aliam fuisse reor quam quod plus paucorum opes quam libertas plebis poterat
[9] Il popolo voleva che venissero immediatamente chiamate a votare le tribù, e sembrava che la legge fosse sul punto di essere approvata; ma quel giorno la decisione venne rimandata perché alcuni tribuni opposero il proprio veto

Il giorno successivo, però, i tribuni cambiarono parere, la legge venne approvata a grande maggioranza

Furono eletti pontefici Publio Decio Mure, l'uomo cioé che aveva presentato la legge, Publio Sempronio Sofo, Gaio Marcio Rutilio, e Marco Livio Dentre; i cinque àuguri ugualmente plebei furono Gaio Genucio, Publio Elio Peto, Marco Minucio Feso, Gaio Marcio e Tito Publilio

Venne così raggiunto il numero di otto pontefici e nove àuguri

Nello stesso anno Marco Valerio presentò una legge relativa al diritto di appello al popolo, che ne sanciva i termini in maniera più rigorosa

Fu questa la terza legge presentata sul medesimo argomento dal tempo della cacciata dei re, e sempre su iniziativa della stessa famiglia

Io penso che essa fosse stata riproposta in più occasioni soltanto per il fatto che lo strapotere economico di pochi valeva più della libertà della plebe
Porcia tamen lex sola pro tergo ciuium lata uidetur, quod graui poena, si quis uerberasset necassetue ciuem Romanum, sanxit; Valeria lex cum eum qui prouocasset uirgis caedi securique necari uetuisset, si quis aduersus ea fecisset, nihil ultra quam 'improbe factum' adiecit

Id, qui tum pudor hominum erat, uisum, credo, uinclum satis ualidum legis: nunc uix serio ita minetur quisquam

Bellum ab eodem consule haudquaquam memorabile aduersus rebellantes Aequos, cum praeter animos feroces nihil ex antiqua fortuna haberent, gestum est

Alter consul Appuleius in Vmbria Nequinum oppidum circumsedit

Locus erat arduus atque in parte una praeceps, ubi nunc Narnia sita est, nec ui nec munimento capi poterat
Tuttavia sembra che soltanto la legge Porcia, stabilendo una pena cospicua per chi avesse frustato o ucciso un cittadino romano, sia stata presentata al fine di proteggere l'incolumità dei cittadini; la legge Valeria, invece, pur vietando di frustare e decapitare un cittadino che avesse fatto appello al popolo, non stabiliva alcuna pena per chi l'avesse violata, salvo il fatto di giudicare tale violazione un'azione mal fatta

Ma secondo me, in quel tempo la moralità della gente era così solida da far sembrare quel monito un incentivo sufficiente al rispetto della legge; oggi nessuno rivolgerebbe un simile monito parlando seriamente

Lo stesso console guidò una spedizione di modesta importanza contro gli Equi che si erano ribellati, anche se della loro fortuna di un tempo non avevano conservato nient'altro che la fierezza interiore

L'altro console, Apuleio, era impegnato nell'assedio della città di Nequino in Umbria

Questa città, corrispondente all'attuale Narnia, si trovava in una posizione sopraelevata e ripida da uno dei versanti, e non era quindi possibile prenderla con la forza né col ricorso a dispositivi d'assedio

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Livio, Ab urbe condita: Libro 24; 11-20
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Latino: dall'autore Livio, opera Ab urbe condita parte Libro 24; 11-20

Itaque eam infectam rem M Fuluius Paetus T Manlius Torquatus noui consules acceperunt

In eum annum cum Q Fabium consulem non petentem omnes dicerent centuriae, ipsum auctorem fuisse Macer Licinius ac Tubero tradunt differendi sibi consulatus in bellicosiorem annum: eo anno maiori se usui rei publicae fore urbano gesto magistratu; ita nec dissimulantem quid mallet nec petentem tamen, aedilem curulem cum L Papirio Cursore factum

Id ne pro certo ponerem uetustior annalium auctor Piso effecit, qui eo anno aediles curules fuisse tradit Cn Domitium Cn Filium Caluinum et Sp Caruilium Q Filium Maximum

Id credo cognomen errorem in aedilibus fecisse secutamque fabulam mixtam ex aediliciis et consularibus comitiis, conuenientem errori
Perciò i nuovi consoli in carica, Marco Fulvio Peto e Tito Manlio Torquato ricevettero in eredità l'impresa ancora incompiuta

Licinio Macro e Tuberone riferiscono questa notizia: siccome tutte le centurie stavano per eleggere console per quell'anno Quinto Fabio pur non avendo quest'ultimo presentato la propria candidatura, fu lui stesso a differire il suo consolato a un anno caratterizzato da un numero superiore di guerre; per quell'anno sarebbe stato invece più utile al paese nell'esercizio di una magistratura di carattere urbano; così, pur non essendosi presentato candidato, ma non avendo nascosto le proprie preferenze, sarebbe stato nominato edile curule insieme con Lucio Papirio Cursore

Chi mi porta a mettere in dubbio questa notizia è Pisone, autore più antico, il quale riferisce che gli edili curuli di quell'anno furono Gneo Domizio Calvino figlio di Gneo e Spurio Carvilio Massimo figlio di Massimo

Ho l'impressione che a far nascere l'errore sia stato il soprannome di quest'ultimo personaggio, e che di lì derivi la storia, in piena sintonia con l'errore che mescola le elezioni degli edili a quelle dei consoli
Et lustrum eo anno conditum a P Sempronio Sopho et P Sulpicio Sauerrione censoribus tribusque additae duae, Aniensis ac Terentina

Haec Romae gesta

[10] Ceterum ad Nequinum oppidum cum segni obsidione tempus tereretur, duo ex oppidanis, quorum erant aedificia iuncta muro, specu facto ad stationes Romanas itinere occulto perueniunt; inde ad consulem deducti praesidium armatum se intra moenia et muros accepturos confirmant

Nec aspernanda res uisa neque incaute credenda

Cum altero eorum - nam alter obses retentus - duo exploratores per cuniculum missi; per quos satis comperta re trecenti armati transfuga duce in urbem ingressi nocte portam, quae proxima erat, cepere

Qua refracta consul exercitusque Romanus sine certamine urbem inuasere

Ita Nequinum in dicionem populi Romani uenit
Nel corso di quell'anno fu anche tenuto il censimento dai censori Publio Sempronio Sofo e Publio Sulpicio Savarrone, e vennero aggiunte due nuove tribù, la Aniense e la Teretina

Questo quanto avvenne a Roma

[10] Nel frattempo, mentre attorno alla fortezza di Nequino il tempo si trascinava in un lento assedio, due cittadini le cui abitazioni si trovavano a ridosso delle mura scavarono un cunicolo e arrivarono di nascosto ai posti di guardia romani; condotti al cospetto del console asserirono di poter far entrare un manipolo armato all'interno delle mura

La proposta non sembrò da trascurare, ma nemmeno così rassicurante da fidarsene ciecamente

Uno dei due disertori venne trattenuto in ostaggio, e due esploratori vennero inviati con l'altro attraverso il cunicolo sotterraneo; quando le loro informazioni confermarono la praticabilità del progetto, 300 soldati alla guida del Nequinate entrarono in città nel cuore della notte e occuparono la porta più vicina

Dopo averla abbattuta, il console e l'esercito romano penetrarono in città senza dover alzare un dito

Così Nequino finì in mano dei Romani

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Colonia eo aduersus Vmbros missa a flumine Narnia appellata; exercitus cum magna praeda Romam reductus

Eodem anno ab Etruscis aduersus indutias paratum bellum; sed eos alia molientes Gallorum ingens exercitus fines ingressus paulisper a proposito auertit

Pecunia deinde, qua multum poterant, freti, socios ex hostibus facere Gallos conantur ut eo adiuncto exercitu cum Romanis bellarent

De societate haud abnuunt barbari: de mercede agitur
La colonia che vi venne inviata nell'intento di fronteggiare gli Umbri prese il nome di Narnia da quello del fiume che la attraversava: quanto all'esercito, venne riportato a Roma carico di bottino

Nello stesso anno gli Etruschi fecero preparativi di guerra, contravvenendo alla tregua stipulata; ma mentre erano impegnati in queste faccende, un grosso contingente di Galli fece ingresso nel loro territorio, distogliendoli per qualche tempo dai loro progetti

Ricorrendo al denaro, di cui disponevano in grande quantità, cercarono di trasformare i Galli da nemici in amici, in maniera da poter affrontare la guerra con Roma contando sul loro appoggio militare

I barbari non negarono l'alleanza, limitandosi a trattare sul prezzo

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