Lettera a Lucilio, Seneca, XIX

Lettera a Lucilio, Seneca, XIX

Tu desideri sapere se abbia ragione Epicuro quando riprova coloro che dicono che il sapiente basta a se stesso e perciò non ha di bisogno di amici

Epicuro muove obbiezione su questo punto a Stilbone ed a quelli per i quali la felicità consiste in uno stato d'animo assolutamente insensibile. Si cade necessariamente in un equivoco se vogliamo con una parola sola significare la apavetav e chiamarla semplicemente impassibilità. Si può intendere proprio il contrario di quello che noi vogliamo dire. Noi vogliamo parlare di colui che respinge il senso del male: c'è caso invece che altri intenda colui che non può sopportare alcun male. Vedi dunque se non convenga distinguere parlando di un animo invulnerabile oppure di un animo fuori d'ogni possibilità di sofferenza. Fra noi e loro c'è questa differenza: il sapiente per noi è colui che pur sentendo vince ogni disagio, invece per loro è colui che non li sente neppure. C'è questo di comune nel nostro e nel loro concetto, che il sapiente è sufficiente ad appagare se stesso. Ma se anche basta a se stesso vuol avere un amico, un vicino di casa, una persona colla quale conviva sotto lo stesso tetto. Osserva in quale vario modo egli può bastare a se Stesso e che talora deve bastare pure avendo solo una parte di sé. Se per caso una malattia o una violenza nemica gli ha fatto cadere una mano o se un triste accidente gli ha portato via un occhio o anche gli occhi, ciò che gli resta del corpo gli basterà ugualmente ed egli allora pure col corpo così diminuito e mutilato sarà lieto qual era col corpo intero e sano: ma se egli non si rattrista nel rimpianto di ciò che gli è venuto a mancare, ciò non vuoi dire che egli preferisca tale mancanza. Il sapiente basta a se stesso in quanto può, ma non in quanto voglia, stare senza un amico: e dicendo che egli può stare senza l'amico intendiamo dire che ne sopporta la perdita serenamente. Bisogna aggiungere che senza un amico egli non resterà mai ed è in suo potere riparare subito la perdita. Nello stesso modo che Fidia, rovinata una statua, ne faceva subito un'altra, così questo artefice di amicizia sostituirà un nuovo amico a quello che ha perduto. Come potrà, tu mi domandi, farsi subito un altro amico Te lo dirò senz'altro se ci accordiamo che io paghi ora il mio debito e facciamo pari per questa lettera. Dice dunque Ecatone: io ti rivelerò un filtro d'amore senza medicamenti e senza erbe, senza formule di magia: " se vuoi essere amato, ama. " Tu trovi in questa parola non solo insegnamento per il saggio uso e godimento dell'amicizia antica, ma anche il principio per procurarti un amicizia nuova. Fra colui che ha e colui che si sta procacciando un amico passa la stessa differenza che passa fra l'agricoltore che semina e quello che miete. Il filosofo Attalo soleva dire che dà maggior piacere farsi un amico che averlo, nello stesso modo che dà maggior piacere ad un artista dipingere un quadro che averlo dipinto.

Seneca, Lettere a Lucilio: Libri 07-08 Parte 02

Seneca, De Constantia Sapientis: 14; 01-04

Seneca, Lettere a Lucilio: Libro 02 Parte 02

Seneca, Naturales Quaestiones: Libro 01; 01-02

Seneca, De Constantia Sapientis: 05; 01-07

Seneca, De Clementia: 01; 01-04