come tale, avrebbe potuto rimanere circoscritta ad un territorio molto limitato, magari con alcune incursioni regionali o all'estero e noi oggi l'avremo conosciuta come accade per le piadine o al massimo i tacos. Invece la pizza è una storia di successo incomparabile che l'ha portata ai vertici dell'apprezzamento mondiale e si sostiene, a ragion veduta, che sia la specialità più diffusa sull'intero pianeta. I maggiori consumatori al mondo oggi sono gli americani con 13 Kg di pizza pro capite all'anno, mentre gli italiani sono in cima alla classifica europea con 7,6 kg a testa seguiti da spagnoli, francesi, tedeschi.
Il giro di affari generato nel nostro paese si aggira intorno ai 15 miliardi all'anno, per un totale di circa 8 milioni di pizze sfornate. Però è sul mercato mondiale che si gioca la vera partita. Alcuni motivi di questa espansione sono stati l'aumento della popolazione urbana e la modalità di consumo in qualità di fast food o street food che fin dai primi vagiti a Napoli ne hanno determinato il successo. Altri fattori sono una generale crescita del reddito disponibile, e diversi progressi tecnologici e infrastrutturali che hanno reso conveniente la produzione della pizza; ma la cosa più interessante è che l'espansione globale della pizza sembra inarrestabile.
Le cause sono legate alle richieste dei mercati contemporanei a cui la pizza si sta adattando in modo esemplare, grazie alla sua nota versatilità. Un primo fattore connesso agli ingredienti, con l'introduzione di farine biologiche e la scelta di materie prime e di alta qualità per le farciture, sempre più richieste da una parte della clientela disposta a spendere pur di avere un prodotto più sano e sostenibile; poi ci sono le variabili legate alle nuove tecnologie, come la diffusione capillare dei portali di consegna a domicilio attraverso cui è sempre più semplice e conveniente ordinare la pizza, e l'aumento dell'uso dei social media, dove la pizza è regina indiscussa nella categoria food porn
LA PIZZA OLTREOCEANO
prima di solcare l'Atlantico ricordiamoci che nel nostro paese la situazione sociale degli anni che seguono l'unificazione italiana, non era rosea. Le condizioni di vita e alimentazione in molti casi erano critiche non solo a Napoli: in tutto lo stivale esistevano grandi aree sottosviluppate. Si calcola che tra il 1861 e il 1871 una persona su due - e a volte anche due su tre -, non disponesse delle calorie sufficienti per condurre una vita normale in buona salute, in parole povere era sotto nutrito. Nei casi più gravi, che si aggiravano tra il 10 e il 30%,, si può parlare di povertà estrema, per la quale gli individui non riuscivano a garantire il proprio sostentamento per svolgere le attività base e si trovavano in perenne deficit alimentare.
Contemporaneamente in molti paesi europei ed extra europei iniziava una fase di sviluppo legata soprattutto alla formazione di nuovi poli industriali e all'introduzione di innovativi metodi agricoli che richiedevano manodopera non specializzata a basso costo, offrendo in cambio la promessa di una vita migliore.
La generale crescita demografica dei paesi estremamente poveri come l'Italia incontra quindi la domanda che si forma all'estero, in particolare negli Stati Uniti, dando vita a fenomeni migratori che conosceranno il loro apice a partire dal 1880, per continuare all'incirca per 40 anni, fino a quando in America verranno emanati diversi provvedimenti per frenare la massiccia immigrazione, come il quota Act del 1921 e infine l'Immigration Act del 1924.
si calcola che, in direzione degli Stati Uniti, in quel periodo siano immigrati 4 milioni di Italiani e tra il 1910 e il 1913, periodo in cui si registra il picco assoluto del fenomeno, l'Italia abbia toccato numeri che non hanno eguali in tutta Europa, fatto salvo l'Irlanda. La più antica pizzeria d'America ed è indissolubilmente legato al nome del fondatore Gennaro Lombardi indicato come il primo a ricevere una licenza da "pizzaiolo", nel lontano 1905.
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LA PIZZA SURGELATA
Intanto, negli anni a cavallo del secondo conflitto mondiale, si stavano affacciando due rivoluzioni del mondo della pizza. La prima riguarda il metodo di cottura nel forno a legna o carbone, ovvero l'unico sistema disponibile fino a quel periodo. I costi e le difficoltà di realizzazione e funzionamento di questo tipo di forni fino ad allora avevano rappresentato un freno all'espansione delle pizzerie. La soluzione venne da Ira Nevin ingegnere costruttore di forni da tre generazioni, che realizzò il primo prototipo di forno a gas per un pizzaiolo italiano. Grazie all'introduzione di questa nuova tipologia di forno, molto più semplice e pratica, si moltiplicarono anche le piccole pizzerie, lasciando libero sfogo all'imprenditoria privata.
Contemporaneamente si stava affacciando la vera rivoluzione del consumo: la pizza surgelata. L'applicazione della tecnologia del freddo al disco di pasta farcito non ha una data di inizio, ne ho una paternità certa. Sembra che gli esperimenti iniziali si collochino verso la fine degli anni quaranta per poi muovere i primi passi nel mercato allo scoccare della metà del secolo.
Inizialmente la distribuzione non riguardava direttamente le famiglie perché In pochissime possedevano un freezer in cucina, ma permise di far arrivare le pizze anche dove non esistevano ancora pizzerie. Piccoli supermercati, botteghe, chioschi e taverne furono ben presto in grado di accontentare i propri clienti grazie alle pizze pronte che venivano semplicemente riscaldate in forno con la crescente industrializzazione, che richiedeva sempre più manodopera non specializzata, e l'entrata in massa delle donne nel mondo del lavoro in seguito ai sacrifici richiesti dallo sforzo bellico trovarono risposta in questo piatto unico, buono, nutriente, leggermente esotico e finalmente, semplice da preparare.
La diffusione delle pizzerie in America stava conoscendo una crescita senza precedenti: nati inizialmente all'interno delle comunità italo-americane, grazie ai loro prodotti gustosi, sazianti e a basso costo, si fecero apprezzare anche fuori dai confini dei quartieri italiani. La pizza entra stabilmente a pieno titolo nei costumi americani prima della metà del Novecento, quando nel vecchio mondo, inclusa buona parte d'Italia, era ancora un oggetto sconosciuto.
L'INGRESSO DEL POMODORO CON L'AIUTO DEI MACCHERONI
Le prime descrizioni della pizza sbarcata negli States, concordano in un aspetto fondamentale: la farcitura più comune è a base di pomodoro e formaggio. Non è scontato, considerato che gli stili tradizionali napoletani erano soprattutto "Bianchi", a base di strutto, formaggio e pesciolini e, soli in alcuni casi, cosparsi di pomodori a fette.
Come mai un abbinamento non particolarmente diffuso in patria diventa quello principale una volta arrivato in America?
Una delle spiegazioni la racconta il New York Times, e doveva essere certamente vero perché costituiva anche la base con cui venivano conditi i maccheroni e gli spaghetti, il cibo più rappresentativo dell'identità italiana negli Stati Uniti.
La pasta si era già imposta da qualche tempo, anche se da molti era ancora vista come una specialità etnica, e aveva avuto il ruolo di apripista dal punto di vista del gusto e dell'immagine italiana. Ovviamente New York non era Napoli e non si poteva contare su una serie di prodotti freschi che arrivavano tutti i giorni in città, per cui ci si doveva accontentare di ciò che offriva il mercato. Mancavano certamente i pesciolini freschi del golfo, che rappresentavano uno scarto per il loro basso valore, ma erano perfetti per arricchire la farcitura di una pizza e, nei primi tempi era arduo trovare latticini e pomodori freschi. a questo sopperivano i prodotti che giungevano direttamente dall'Italia per rifornire i negozi di generi alimentari di Little Italy e, ovviamente, le pizzerie.
Tra i prodotti di più largo consumo si trovavano appunto i pomodori in scatola, l'olio e formaggi, in cima alla lista delle importazioni italiane. Il mercato americano era fiorente: chi si era trasferito generalmente poteva contare sul reddito più alto che gli consentiva una maggiore spesa per il cibo. in particolare le feste religiose o i ricevimenti familiari erano occasioni per affermare la propria identità e la posizione sociale raggiunta nel nuovo mondo degli emigrati italiani.
Uno dei prodotti più utilizzati nella cucina rimaneva il pomodoro, che deve la sua fortuna all'industria italiana di inscatolamento. i suoi esordi si possono individuare con la fondazione a Torino della Cirio, nel 1856, e con la sua espansione nel mezzogiorno dove, dopo l'Unità d'Italia, apre alcuni stabilimenti, convertendo alla coltivazione di prodotti da inscatolare vaste aree agricole abbandonate.
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Siamo certi del tipo di pomodoro utilizzato per farcire la pizza negli USA, non possiamo dire altrettanto della mozzarella, che rimane un formaggio di non facile identificazione.
Questo ingrediente venne descritto di volta in volta come un prodotto diverso, a volte con una consistenza particolare cremosa particolarmente cremosa, altre come formaggio a fette, facendo sospettare con il nome di "mozzarella" si indicasse una classe più o meno eterogenea di latticini.
Inizialmente molte ricette americane riportano le indicazioni generica di formaggio, mentre in alcune occasioni viene specificato che si tratta di scamorza, pecorino o formaggio svizzero. A differenza del pomodoro che poteva essere comodamente inscatolato, la mozzarella e i latticini freschi in generale non riuscivano a raggiungere le coste americane. Per sopperire a questa mancanza gli italiani iniziarono a produrre in loco i cibi a cui erano affezionati, replicando stili e modalità dei prodotti originali.
Nacquero così laboratori di salumi, panifici e infine caseifici impegnati soprattutto nella produzione di latticini freschi. In breve tempo anche queste tipologie di prodotti facilmente deperibili incontrarono il favore del mercato presso la comunità locale, arrivando anche sulla pizza. Il binomio pomodori e formaggio filante diventa vincente una volta che tocca il suolo americano. A questa base vengono aggiunti altri ingredienti come la salsiccia o il salame, oppure le acciughe, mentre scompaiono quelle fresche utilizzate ancora a Napoli.
la base "Margherita" (Tutti avranno prima o poi sentito raccontare che la pizza margherita deve il proprio nome alla Regina Margherita di Savoia, consorte di Re Umberto I madre del futuro re Vittorio Emanuele III) diventa la più comune e gli stili più antichi della tradizione napoletana scompaiono. Della pizza condita con solo strutto e formaggio rimane un vago ricordo.