Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 111-121

Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 05; 111-121

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 05; 111-121

[111] 'Etiamne, si sensibus carebit oculorum, si aurium

Etiam; nam ista ipsa contemnit

Primum enim horribilis ista caecitas quibus tandem caret voluptatibus

Cum quidam etiam disputent ceteras voluptates in ipsis habitare sensibus, quae autem aspectu percipiantur, ea non versari in oculorum ulla iucunditate, ut ea, quae gustemus olfaciamus tractemus audiamus, in ea ipsa, ubi sentimus, parte versentur

In oculis tale nil fit; animus accipit, quae videmus

Animo autem multis modis variisque delectari licet, etiamsi non adhibeatur aspectus

Loquor enim de docto homine et erudito, cui vivere est cogitare

Sapientis autem cogitatio non ferme ad investigandum adhibet oculos advocatos

[112] Etenim si nox non adimit vitam beatam, cur dies nocti similis adimat
[111] E questo anche se sarà privo dei sensi degli occhi, se delle orecchie

Anche; infatti disprezza queste stesse cose

Innanzitutto infatti questa orribile cecità di quali piacere è infine priva

Discutendo infatti che le altre voluttà abitino nei sensi stessi, le cose che sono percepite dalla vista non sono travasate in nessun piacere degli occhi, come le cose che gustiamo, odoriamo, tocchiamo ascoltiamo, sono rieversate nelle stesse cose dove sentiamo

Niente di simile accade negli occhi; lanimo prende le cose che vediamo

E lecito allanimo distrarsi in molti e vri modi anche se non è fruita la vista

Parlo infatti di un uomo colto ed erudito per cui vivere è pensare

Il pensiero del saggio, tuttavia, non usa occhi chiamati sempre ad investigare

[112] Infatti se la notte non dimezza una vita felice, perchè dovrebbe dimezzarla un giorno simile alla notte
Nam illud Antipatri Cyrenaici est quidem paulo obscenius, sed non absurda sententia est; cuius caecitatem cum mulierculae lamentarentur, 'Quid agitis

inquit, 'an vobis nulla videtur voluptas esse nocturna

Appium quidem veterem illum, qui caecus annos multos fuit, et ex magistratibus et ex rebus gestis intellegimus in illo suo casu nec privato nec publico muneri defuisse

C Drusi domum compleri a consultoribus solitam accepimus; cum, quorum res esset, sua ipsi non videbant, caecum adhibebant ducem

Pueris nobis Cn Aufidius praetorius et in senatu sententiam dicebat nec amicis deliberantibus deerat et Graecam scribebat historiam et videbat in litteris

[XXXIX] [113] Diodotus Stoicus caecus multos annos nostrae domi vixit
Infatti quella frase di Antipatro di Cirene è forse un po troppo oscena, ma non è assurda; piangendo alcune donnicciole la sua cecità, Perché lo fate

Disse o vi sembra che non esista nessun piacere notturno

Abbiamo appreso sia dai magistrati sia dalle storie che quel famoso Appio il vecchio che fu cieco per molti anni non mancò al suo dovere né privato né pubblico in quella sua situazione

Abbiamo appreso che la casa di gaio Druso era solita essere riempita da persone che chiedevano consigli, quando quelli stessi di cui era la questione non vedevano le loro cose, utilizzavano una guida cieca

Il pretoriano Gneo Aufidio, quando noi eravamo giovani, diceva in senato la propria opinione e non veniva meno agli amici che erano nei guai e scriveva la storia greca e vedeva nelle lettere

[XXXIX] [113] Lo stoico Diodoto visse cieco per molti anni a casa nostra
Is vero, quod credibile vix esset, cum in philosophia multo etiam magis adsidue quam antea versaretur et cum fidibus Pythagoreorum more uteretur cumque ei libri noctes et dies legerentur, quibus in studiis oculis non egebat, tum, quod sine oculis fieri posse vix videtur, geometriae munus tuebatur verbis praecipiens discentibus, unde quo quamque lineam scriberent

Asclepiadem ferunt, non ignobilem Eretricum philosophum, cum quidam quaereret, quid ei caecitas attulisset, respondisse, puero ut uno esset comitatior

Ut enim vel summa paupertas tolerabilis sit, si liceat quod quibusdam Graecis cotidie, sic caecitas

ferri facile possit, si non desint subsidia valetudinum
Quello in realtà, cosa tale da essere a stento credibile, essendosi dedicato alla filosofia in maniera anche molto più assidua di prima e utilizzando gli strumenti musicali secondo il costume dei pitagorici ed essendogli letti libri notte e giorni, nei cui studi non aveva bisogno di occhi, allora cosa che a stento sembra che possa essere accaduta senza gli occhi, fruiva del dono della geometria, descrivendo con le parole agli alunni da dove, dove e quale linea dovessero tracciare

Dicono che Asclepiade, non ignobile filosofo Eretico, chiedendogli uno che cosa gli avesse portato la cecità, abbia risposto di essere più vicino ad un solo fanciullo

Come infatti la somma povertà è tollerabile, se è lecito ciò che oggi giorno lo è a certi greci, così lo sia anche la cecità

Se non mancano i sussidi delle saluti, può facilmente essere sopportata

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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 04; 41-50
Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 04; 41-50

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 04; 41-50

[114] Democritus luminibus amissis alba scilicet discernere et atra non poterat, at vero bona mala, aequa iniqua, honesta turpia, utilia inutilia, magna parva poterat, et sine varietate colorum licebat vivere beate, sine notione rerum non licebat

Atque hic vir impediri etiam animi aciem aspectu oculorum arbitrabatur, et cum alii saepe, quod ante pedes esset, non viderent, ille infinitatem omnem peregrinabatur, ut nulla in extremitate consisteret

Traditum est etiam Homerum caecum fuisse; at eius picturam, non poesin videmus: quae regio, quae ora, qui locus Graeciae, quae species formaque pugnae, quae acies, quod remigium qui motus hominum, qui ferarum non ita expictus est, ut, quae ipse non viderit, nos ut videremus, effecerit

Quid ergo
[114] Democrito, persa la vista non poteva certo distinguere le cose bianche e quelle nere, ma certo poteva riconoscere le cose buone e le cattive, le giuste e le ingiuste, le oneste e le indecorose, le utili e le inutili, le grandi e le piccole ed era lecito vivere felicemente senza la varietà dei colori, non non era possibile senza la nozione delle cose

E questuomo credeva che anche la perspicacia dellanimo fosse ostacolata dalla vista degli occhi e, mentre gli altri spesso non vedevano ciò che era davanti ai piedi, egli percorreva tutta linfinità così da non fermarsi in nessun limite

Si tramandò che anche Omero sia stato cieco; ma vediamo la sua pittura non la letteratura: Quale regione, quale spiaggia, quale luogo della Grecia, quale tipo e forma di battaglia, quale schieramento, quale nave, quale movimento degli uomini, quale delle bestie non fu dipinto in maniera tale da far in modo che noi vedessimo le cose che lui stesso non aveva visto

E che dunque
aut Homero delectationem animi ac voluptatem aut cuiquam docto defuisse umquam arbitramur

[115] Aut, ni ita se res haberet, Anaxagoras aut hic ipse Democritus agros et patrimonia sua reliquissent, huic discendi quaerendique divinae delectationi toto se animo dedissent

Itaque augurem Tiresiam, quem sapientem fingunt poetae, numquam inducunt deplorantem caecitatem suam; at vero Polyphemum Homerus cum inmanem ferumque finxisset, cum ariete etiam conloquentem facit eiusque laudare, fortunas, quod, qua vellet, ingredi posset et, quae vellet, attingere

Recte hic quidem; nihilo enim erat ipse Cyclops quam aries ille prudentior

[XL] [116] In surditate vero quidnam est mali

Erat surdaster M Crassus, sed aliud molestius, quod male audiebat, etiamsi, ut mihi videbatur, iniuria
Crediamo forse che ad Omero o a qualsiasi altro dotto sia mancato il diletto e il piacere dellanima

[115] O, se le cose non stessero così, Anassagora o questo stesso Democrito, avrebbero lasciato i loro campi e i loro patrimoni e si fossero votati con tutto lanimo al divino piacere di imparare e ricercare questo

Così i poeti non immaginano mai laugure Tiresia , che immaginano saggio, a deplorare la propria cecità; ma invero Omero avendo immaginato Polifemo grande e selvaggio, lo immagina mentre parla con un ariete e loda le sue fortune, poichè può andare dove vuole e toccare ciò che vuole

Giusto anche questo; infatti lo stesso ciclope non era in niente più saggio dellariete

[XL] [116] E anche nella sordità che cosa cè di male

Marco Crasso era piuttosto sordo, ma più fastidioso in unaltra cosa, poichè sentiva male, anche se , come mi sembrava è uningiuria

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 01-90

[Epicurei] Nostri Graece fere nesciunt nec Graeci Latine

Ergo hi in illorum et illi in horum sermone surdi, omnesque nos in eis linguis quas non intellegimus, quae sunt innumerabiles, surdi profecto sumus

'At vocem citharoedi non audiunt'

Ne stridorem quidem serrae, tum cum acuitur, aut grunditum cum iugulatur suis nec, cum quiescere volunt, fremitum murmurantis maris; et si cantus eos forte delectant, primum cogitare debent, ante quam hi sint inventi, multos beate vixisse sapientis, deinde multo maiorem percipi posse legendis iis quam audiendis voluptatem

[117] Tum, ut paulo ante caecos ad aurium traducebamus voluptatem, sic licet surdos ad oculorum

Etenim, qui secum loqui poterit, sermonem alterius non requiret
Quasi tutti i nostri non sanno il greco, nè i greci il latino

Dunque, quelli sono sordi al discorso di questi e viceversa, e tutti noi siamo di fatto sordi in quelle lingue che non capiamo, che sono innumerevoli

Ma non sentono la voce dei citaredi

Ma neppure lo stridio della sega, allorquando è affilata o il grugnito quando è ammazzato il maiale, nè il fremito del mare che mormora quando vogliono riposare; e se per caso i canti li dilittano, devono innanzitutto pensare che motli sapienti sono vissuti felicemente prima che quelli fossero inventati e poi che il piacere può essere percepito in maniera molto più grande con il leggere più che con lascoltare queste cose

[117] Inoltre come poco prima portavamo i ciechi ai piaceri delle orecchie così adesso sia lecito portare i sordi a quelli degli occhi

Inoltre, chi potrà parlare con sè, non cercherò il discorso di un altro
Congerantur in unum omnia, ut idem oculis et auribus captus sit, prematur etiam doloribus acerrumis corporis

Qui primum per se ipsi plerumque conficiunt hominem; sin forte longinquitate producti vehementius tamen torquent, quam ut causa sit cur ferantur

quid est tandem, di boni, quod laboremus

portus enim praesto est, [quoniam mors ibidem est], aeternum nihil sentiendi receptaculum

Theodorus Lysimacho mortem minitanti 'Magnum vero' inquit 'effecisti, si cantharidis vim consecutus es'

[118] Paulus Persi deprecanti, ne in triumpho duceretur, 'In tua id quidem potestate est
Ma siano unite tutte le cose in uno solo, così che lo stesso sia stato colpito agli occhi e alle orecchie, e sia pressato anche da violentissimi dolori del corpo

Innanzitutto queste cose di per sè fanno subito fuori un uomo; se tuttavia, portati aventi per lungo tempo, tuttavia tormentano più violentemente di quanto ci sia motivo per cui siano sopportati

Quale è infine, dei buoni, il motivo per cui soffriamo

E infatti pronto un porto [poiché lì cè la morte] eterno rifugio del non sentire nulla

Teodoro disse a Lisimaco che lo minacciava di morte: Hai fatto una grande cosa se hai conseguito la forza di una cantaride

[118] paolo, a Perseo che lo supplicava di non essere portato in trionfo, disse Questa cosa, certo, è in tuo potere

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 05; 01-10

' Multa primo die, cum de ipsa morte quaereremus, non pauca etiam postero, cum ageretur de dolore, sunt dicta de morte, quae qui recordetur, haud sane periculum est ne non mortem aut optandam aut certe non timendam putet

[XLI] Mihi quidem in vita, servanda videtur illa lex, quae in Graecorum conviviis optinetur: 'Aut bibat' inquit 'aut abeat'

Et recte

Aut enim fruatur aliquis pariter cum aliis voluptate potandi aut, ne sobrius in violentiam vinolentorum incidat, ante discedat

Sic iniurias fortunae, quas ferre nequeas, defugiendo relinquas

Haec eadem, quae Epicurus, totidem verbis dicit Hieronymus
Riguardo alla morte sono state dette molte cose il primo giorno, quando facemmo approfondimenti sulla morte stessa, non poche il successivo, quando si parlò del dolore, e per chi ricorda queste cose non cè certo pericolo di considerare la morte desiderabile o almeno non temibile

[XLI] A me certo sembra che nella vita bisogna conservare quella legge che si usa nei conviti dei Greci: O beva dice o vada via

E a ragione

Infatti o uno goda allo stesso modo degli altri del piacere di bere o si allontani prima per non cadere da sobrio nella violenza degli ubriachi

Così fuggendo lasci i colpi della sorte che non puoi sopportare

Geronimo dice con le stesse parole queste stesse cose che dice Epicuro
[119] Quodsi hi philosophi, quorum ea sententia est, ut virtus per se ipsa nihil valeat, omneque, quod honestum nos et laudabile esse dicamus, id illi cassum quiddam et inani vocis sono decoratum esse dicant, ei tamen semper beatum censent esse sapientem, quid tandem a Socrate et Platone profectis philosophis faciendum videtur

Quorum alii tantam praestantiam in bonis animi esse dicunt, ut ab iis corporis et externa obruantur, alii autem haec ne bona quidem ducunt, in animo reponunt omnia

[120] Quorum controversiam solebat tamquam honorarius arbiter iudicare Carneades
[119] E anche se questi filosofi, la cui opinione è questa, che la virtù di per se stessa non valga nulla e che tutto ciò che noi diciamo che sia onesto e lodevole, quelli dicono che sia una cosa vuota e che sia stata ornata al suono di una voce senza senso, tuttavia questi ritengono che il saggio sia sempre felice che cosa sembra che debba essere fatto dai filosofi che provengono da Socrate e da Platone

E alcuni di essi dicono che nei beni dellanimo ci sia tanta forza che da loro sono schiacciati quelli del corpo ed esterni, altri addirittura considerano che queste cose non siano neppure di beni e ripongono tutte le cose nellanimo

[120] E Carneade era solito giudicare come arbitro onorario la controversia di questi

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Nam cum, quaecumque bona Peripateticis, eadem Stoicis commoda viderentur neque tamen Peripatetici plus tribuerent divitiis bonae valetudini ceteris rebus generis eiusdem quam Stoici, cum ea re, non verbis ponderarentur, causam esse dissidendi negabat

Quare hunc locum ceterarum disciplinarum philosophi quem ad modum optinere possint, ipsi viderint; mihi tamen gratum est, quod de sapientium perpetua bene vivendi facultate dignum quiddam philosophorum voce profitentur

[121] Sed quoniam mane est eundum, has quinque dierum disputationes memoria comprehendamus

Equidem me etiam conscripturum arbitrorubi enim melius uti possumus hoc, cuicuimodi est, otio

-, ad Brutumque nostrum hos libros alteros quinque mittemus, a quo non modo inpulsi sumus ad philosophiae scriptiones, verum etiam lacessiti
Infatti sembrando agli stoici vantaggi le stesse cose che sembrano beni ai Peripatetici, e non attribuendo tuttavia i peripatetici più valore degli stoici alle ricchezze, alla buona salute e alle altre cose di questo genere, diceva che non cera motivo di confutarsi, essendo dato peso alla sostanza e non alle parole

Perciò si occupino i filosofi delle altre discipline di come possano ottenere questa cosa; a me tuttavia è gradito il fatto che dicano qualcosa degna della voce dei filosofi riguardo alla perpetua possibilità di vivere felicemente da parte dei saggi

[121] Ma poichè domani bisogna andare via, mettiamo nella memoria le discussioni di questi cinque giorni

Siccome credo che li metterò per iscritto - in che modo miliore possiamo usufruire di questo riposo, di qualunque tipo sia

- dedicheremo anche questi altri cinque libri al nostro Bruto, da cui non solo siamo stati spinti, ma addirittura provocati alla scrittura di filosofia

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