Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 03; 286-298

Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 03; 286-298

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 03; 286-298
[286] Quid est autem quod plus valeat ad ponendum dolorem, quam cum est intellectum nihil profici et frustra esse susceptum [286] Ma per allontanare il dolore, quale rimedio è più efficace della considerazione che esso non giova a nulla e che è stato accolto invano
Si igitur deponi potest, etiam non suscipi potest; voluntate igitur et iudicio suscipi aegritudinem confitendum est Dunque se può essere deposto, è anche possibile non accoglierlo; di conseguenza bisogna riconoscere che lafflizione viene accolta volontariamente e con consapevolezza
[287] Idque indicatur eorum patientia qui cum multa sint saepe perpessi facilius ferunt quicquid accidit, obduruisseque iam sese contra fortunam arbitrantur, ut ille apud Euripidem: Si mihi nunc tristis primum inluxisset dies, nec tam aerumnoso navigavissem salo, esset dolendi causa, ut iniecto eculei freno repente tactu exagitantur novo; sed etiam subactus miseriis optorpui [287] E ciò è presente nella rassegnazione di coloro che avendo patito molto e molto spesso, sopportano più facilmente qualunque cosa accada, e ritengono di essere ormai diventati insensibili nei confronti della fortuna, come quel personaggio di Euripide: Se ora fosse spuntato per me il primo giorno infelice, e se non avessi navigato in un mare così burrascoso, ci sarebbe un motivo per soffrire, come i puledri che, appena viene messo loro il morso, subito recalcitrano al nuovo contatto; ma ormai io, soggetto alle sventure, non ho più reazioni

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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 230-273
Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 01; 230-273

Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 230-273

[288] Defetigatio igitur miseriarum aegritudines cum faciat leniores, intellegi necesse est non rem ipsam causam atque fontem esse maeroris [288] Dunque se labbattimento provocato dalle sventure rende più miti le afflizioni, è necessario rendersi conto che non è la cosa stessa la causa e la sorgente della tristezza
[289] Philosophi summi nequedum tamen sapientiam consecuti nonne intellegunt in summo se malo esse [289] Filosofi sommi che tuttavia non hanno ancora raggiunto la sapienza, non si rendono conto di trovarsi nel male più grave

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Cicerone, Tuscolanae Disputationes: Libro 03; 65-84
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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 03; 65-84

Sunt enim insipientes, neque insipientia ullum maius malum est; neque tamen lugent Infatti sono privi di sapienza, e nessun male è più grave della mancanza di sapienza; tuttavia non piangono
[290] Quid ita [290] Come mai

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 01; 429-501

Quia huic generi malorum non adfingitur illa opinio rectum esse et aequum et ad officium pertinere aegre ferre, quod sapiens non sis, quod idem adfingimus huic aegritudini, in qua luctus inest, quae omnium maxuma est Perché a questo genere di mali non si applica lidea che è giusto, equo e rientra nellambito del dovere sopportare dolorosamente il fatto di non essere sapiente, idea che invece applichiamo a questa afflizione, a cui è legato il lutto, che è la più grande di tutte
[291] Itaque Aristoteles veteres philosophos accusans, qui existimavissent philosophiam suis ingeniis esse perfectam, ait eos aut stultissimos aut gloriosissimos fuisse; sed se videre, quod paucis annis magna accessio facta esset, brevi tempore philosophiam plane absolutam fore [291] Perciò Aristotele accusando gli antichi filosofi, che ritenevano che la filosofia fosse diventata perfetta grazie al loro ingegno, disse che essi erano molto stolti e grandi millantatori; ma dichiarò anche che secondo lui, poiché in pochi anni si era verificato un grande progresso, in breve tempo la filosofia avrebbe raggiunto il suo completamento

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Latino: dall'autore Cicerone, opera Tuscolanae Disputationes parte Libro 04; 81-84

[292] Theophrastus autem moriens accusasse naturam dicitur quod cerivs et cornicibus vitam diuturnam, quorum id nihil interesset, hominibus, quorum maxime interfuisset, tam exiguam vitam dedisset; quorum si aetas potuisset esse longinquior, futurum fuisse ut omnibus perfectis artibus omni doctrina hominum vita eruditur [292] Poi si dice che Teofrasto morendo accusò la natura di avere concesso una vita lunghissima ai cervi ed alle cornacchie, a cui non interessava nulla di tale dono, agli uomini, a cui esso interessava moltissimo, aveva concesso una vita così breve; se la loro vita avesse potuto essere più lunga, essi, nel corso della loro esistenza, avrebbero raggiunto la perfezione in tutte le arti ed avrebbero appreso tutte le conoscenze

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