Cicerone, De Oratore: Libro 02; 56-60

Cicerone, De Oratore: Libro 02; 56-60

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Oratore parte Libro 02; 56-60

[LVI] [227] Sed haec tragica atque divina; faceta autem et urbana innumerabilia vel ex una contione meministis; nec enim maior contentio umquam fuit nec apud populum gravior oratio quam huius contra conlegam in censura nuper neque lepore et festivitate conditior

Qua re tibi, Antoni, utrumque adsentior et multum facetias in dicendo prodesse saepe et eas arte nullo modo posse tradi: illud quidem admiror, te nobis in eo genere tribuisse tantum et non huius rei quoque palmam [ut ceterarum] Crasso detulisse
[LIV] [227] Ma questi sono sfoghi drammatici e sublimi;in quanto a frasi scherzose e spiritose, ne troverete un numero enorme: basta che pensiate a una sola delle sue orazioni; non c è mai stato un discorso più vigoroso, né un discorso al popolo più solenne quanto quello che egli ha pronunziato ultimamente contro il suo collega nella censura, e nello stesso tempo più condito di lepidezza e amabilità

Perciò io condivido, o Antonio, entrambi i tuoi giudizi, che il ridicolo spesso riesce molto utile nel discorso e che per esso non si possono in alcun modo dettare norme precise: mi stupisce pero il fatto che tu tenga in così gran conto le mie facezie, e non voglia attribuire anche in questo campo la palma a Crasso
[228] Tum Antonius "ego vero ita fecissem," inquit "nisi interdum in hoc Crasso paulum inviderem; nam esse quamvis facetum atque salsum non nimis est per se ipsum invidendum; sed cum omnium sit venustissimus et urbanissimus, omnium gravissimum et severissimum et esse et videri, quod isti contigit uni, [id] mihi vix ferendum videbatur

[229] Hic cum adrisisset ipse Crassus, "ac tamen," inquit Antonius "cum artem esse facetiarum, Iuli, [ullam] negares, aperuisti quiddam, quod praecipiendum videretur: haberi enim dixisti rationem oportere hominum, rei, temporis, ne quid iocus de gravitate decerperet; quod quidem in primis a Crasso observari solet
[228] Allora Antonio rispose avrei fatto proprio così, se non sentissi di tanto in tanto per questo fatto una certa invidia per Crasso ; infatti se per un uomo faceto e spiritoso noi non sentiamo alcuna invidia per luomo che sia il piu amabile e il piu fine e nello stesso tempo il piu autorevole ed austero cosa che si puo riscontrare solo in Crasso non possiamo fare a meno di provare una forte invidia

[229] A questo punto mettendosi Crasso a ridere, Antonio così disse, ur tu avendo affermato o Giulio che non esiste unarte delle facezie, ci hai rivelato un fatto, che mi sembra tuttaltro che trascurabile: hai detto che bisogna avere riguardo alle persone, alle circostanze e al momento, affinché lo scherzo non divenga volgarità: cosa a cui Crasso bada più che ad ogni altra
Sed hoc praeceptum praetermittendarum est facetiarum, cum eis nihil opus sit; nos autem quo modo utamur, cum opus sit, quaerimus, ut in adversarium et maxime, si eius stultitia poterit agitari; in testem stultum, cupidum, levem, si facile homines audituri videbuntur

[230] Omnino probabiliora sunt, quae lacessiti dicimus quam quae priores, nam et ingeni celeritas maior est, quae apparet in respondendo, et humanitatis est responsio; videmur enim quieturi fuisse, nisi essemus lacessiti, ut in ipsa ista contione nihil fere dictum est ab hoc, quod quidem facetius dictum videretur, quod non provocatus responderit; erat autem tanta in Domitio gravitas, tanta auctoritas, ut, quod esset ab eo obiectum, lepore magis levandum quam contentione frangendum videretur
Ma questo è un pre cetto che riguarda il modo di evitare le facezie, quando sono del tutto inopportune; noi invece stiamo indagando in che modo dobbiamo farne uso, quando sono opportune: per esempio quando si prende di mira un avversario, specialmente se si spera di mettere in ridicolo la sua dabbenaggine o un teste sciocco, parziale e privo di serietà, se gli uditori si mostreranno propensi ad ascoltare

[230] Sono molto più apprezzabili le facezie che noi diciamo provocati, di quelle che diciamo di nostra iniziativa; e questo non solo perché la pronta risposta rivela una maggiore prontezza di spirito, ma anche perché il rispondere è proprio delluomo: infatti si può pensare che noi non avremmo risposto, se non fossimo stati provocati; così è avvenuto nel discorso, di cui ci stiamo occupando: non cè stata una sola battuta spiritosa di Crasso, che non sia stata provocata dallavversario; e poi Domizio era un uomo tanto serio e autorevole, che doveva sembrare più facile svuotare le sue accuse con la lepidezza che tentare di confutarle con una serrata discussione

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De Oratore parte Libro 01; 21-25

[LVII] [231] Tum Sulpicius "quid igitur

Patiemur- inquit -Caesarem, qui quamquam [M] Crasso facetias concedit, tamen multo in eo studio magis ipse elaborat, non explicare nobis totum genus hoc iocandi quale sit et unde ducatur; praesertim cum tantam vim et utilitatem salis et urbanitatis esse fateatur

"Quid, si" inquit Iulius "adsentior Antonio dicenti nullam esse artem salis

[232] Hic cum Sulpicius reticuisset, "quasi vero" inquit Crassus "horum ipsorum, de quibus Antonius iam diu loquitur, ars ulla sit: observatio quaedam est, ut ipse dixit, earum rerum, quae in dicendo valent; quae si eloquentis facere posset, quis esset non eloquens

Quis enim haec non vel facile vel certe aliquo modo posset ediscere
[LVII][231]A questo punto Sulpicio:E che

Disse dunque permetteremo che Cesare che, per quanto voglia concedere le facezie a Crasso, tuttavia coltiva con molto maggiore interesse questarte, sia esonerato dal compito di illustrarci le forme e lorigine di tutto questo genere del ridicolo; proprio lui, che ha dichiarato apertamente che larguzia e i motteggi hanno unenorme efficacia e utilità

Ma io ribatté Giulio sono pienamente daccordo con Antonio, che nega lesistenza di unarte del ridicolo

[232] Siccome Sulpicio non fece alcuna obiezione, intervenne Crasso, e disse: come se tutto ciò, di cui Antonio sta parlando da un pezzo, appartenesse a una vera e propria arte: comegli stesso ha detto, si tratta solo di considerazioni generali, che si possono fare intorno a quei fatti, che possono riuscire utili nel discorso;se bastassero queste a rendere gli uomini eloquenti, tutti gli uomini sarebbero eloquenti

Chi non sarebbe capace dimpadronirsene con facilità o almeno in qualche misura
Sed ego in his praeceptis hanc vim et hanc utilitatem esse arbitror, non ut ad reperiendum quod dicamus, arte ducamur sed ut ea, quae natura, quae studio, quae exercitatione consequimur, aut recta esse confidamus aut prava intellegamus, cum quo referenda sint didicerimus

[233] Qua re, Caesar, ego quoque hoc a te peto, ut, si tibi videtur, disputes de hoc toto iocandi genere quid sentias, ne qua forte dicendi pars, quoniam ita voluistis, in hoc tali coetu atque in tam accurato sermone praeterita esse videatur

"Ego vero," inquit ille "quoniam conlectam a conviva, Crasse, exigis, non committam ut, si defugerim, tibi causam aliquam recusandi dem

Quamquam soleo saepe mirari eorum impudentiam, qui agunt in scaena gestum inspectante Roscio; quis enim sese commovere potest, cuius ille vitia non videat
Lefficacia e lutilità di questi precetti è questa, a mio avviso: essi non servono a farci trovare per mezzo di regole ciò che dobbiamo dire, ma a farci riconoscere come buoni o cattivi queì risultati che abbiamo ottenuto per merito della nostra indole o dello studio o della pratica, dopo che abbiamo imparato a quale scopo essi debbono mirare

[233] Perciò anchio ti prego, o Cesare, di dirci, se non ti dispiace, il tuo pensiero su tutto questo genere del ridicolo, alfinché, come voi volevate, non appaia trascurata, in una riunione così importante e in una discussione così approfondita, nessuna questione connessa collarte del dire

E Cesare di rimando: dal momento che tu, o Crasso, vuoi che ogni commensale paghi la sua quota, io non voglio, non pagando la mia, autorizzarti ad accampare una scusa per un rifiuto

Veramente io soglio spesso stupirmi cli fronte allimpudenza di coloro che osano calcare la scena, quando in teatro siede come spettatore Roscio: essi infatti non potranno fare un gesto senza che egli non ne noti i difetti

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Sic ego nunc, Crasso audiente, primum loquar de facetiis et docebo sus, ut aiunt, oratorem eum, quem cum Catulus nuper audisset, faenum alios aiebat esse oportere

[234] Tum ille "iocabatur" inquit "Catulus, praesertim cum ita dicat ipse, ut ambrosia alendus esse videatur

Verum te, Caesar, audiamus, ut Antoni reliqua videamus

Et Antonius "perpauca quidem mihi restant," inquit "sed tamen defessus iam labore atque itinere disputationis meae requiescam in Caesaris sermone quasi in aliquo peropportuno deversorio

[LVIII] "Atqui" inquit Iulius "non nimis liberale hospitium meum dices; nam te in viam, simul ac perpaulum gustaris, extrudam et eiciam

[235] Ac ne diutius vos demorer, de omni isto genere quid sentiam perbreviter exponam
Così io ora per la prima volta parlerò delle facezie davanti a Grasso e, come il maiale del proverbio vorrò fare da maestro a quelloratore, al cui confronto, comha detto Catulo che lha recentemente sentito, tutti gli altri dovrebbero mangiare il fieno

[234] E Crasso allora disse: Catulo scherzava; lui che parla così bene, da sembrare degno di essere nutrito di ambrosia

Ora, ascoltiamo te, o Cesare, per potere poi ascoltare il resto del discorso di Antonio

E Antonio: in verità mi resta poco , come sono stanco del faticoso cammino del mio discorso, mi riposerà nel discorso di Cesare come in un comodissimo albergo

[LVIII] Temo però, rispose Giulio, che troverai il mio albergo troppo ospitale; infatti appena lo avrai gustato un poco, ti caccerò via e ti metterà alla porta

[235] Per non farvi perdere troppo tempo, vi esporrò molto brevemente il mio pensiero su tutto questo argomento
De risu quinque sunt, quae quaerantur: unum, quid sit; alterum, unde sit; tertium, sitne oratoris risum velle movere; quartum, quatenus; quintum, quae sint genera ridiculi

Atque illud primum, quid sit ipse risus, quo pacto concitetur, ubi sit, quo modo exsistat atque ita repente erumpat, ut eum cupientes tenere nequeamus, et quo modo simul latera, os, venas, oculos, vultum occupet, viderit Democritus; neque enim ad hunc sermonem hoc pertinet, et, si pertineret, nescire me tamen id non puderet, quod ne illi quidem scirent, qui pollicerentur

[236] Locus autem et regio quasi ridiculi - nam id proxime quaeritur - turpitudine et deformitate - quadam continetur; haec enim ridentur vel sola vel maxime, quae notant et designant turpitudinem aliquam non turpiter
Cinque sono le questioni che dobbiamo esaminare in materia di riso: la prima riguarda la sua essenza; la seconda la sua origine; la terza la convenienza per un oratore di suscitare il riso; la quarta i limiti di esso; la quinta le varie specie del ridicolo

Quanto alla prima, cioè che cosa sia il riso in sé, da che cosa sia provocato, dove abbia la sua sede, che modo nasca e scoppi così improvvisamente, che pur desiderando frenarlo e in che modo invada simultaneamente fianchi, bocca, vene, occhi e volto, lo vedrà Democrito; ai fini della nostra conversazione il problema non cinteressa, e se anche cinteressasse, mi vergognerei dignorare ciò che ignorano perfino quelli che si vantano di conoscerlo

[236] La fonte e, per dir così, il dominio del ridicolo era questa la seconda questione consistono in una certa bruttezza e deformità: infatti fanno ridere o unicamente o massimamente quelle cose che colpiscono o indicano una certa sconcezza, non sconcia

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Est autem, ut ad illud tertium veniam, est plane oratoris movere risum; vel quod ipsa hilaritas benevolentiam conciliat ei, per quem excitata est; vel quod admirantur omnes acumen uno saepe in verbo positum maxime respondentis, non numquam etiam lacessentis; vel quod frangit adversarium, quod impedit, quod elevat, quod deterret, quod refutat; vel quod ipsum oratorem politum esse hominem significat, quod eruditum, quod urbanum, maxime quod tristitiam ac severitatem mitigat et relaxat odiosasque res saepe, quas argumentis dilui non facile est, ioco risuque dissolvit

[237] Quatenus autem sint ridicula tractanda oratori, perquam diligenter videndum est, quod in quarto loco quaerendi posueramus
E per venire alla terza questione, io dico che indubbiamente alloratore provocare il riso, perché la stessa ilarità concilia la benevolenza a colui che la suscita, sia perché tutti ammirano lacutezza che spesso è contenuta in una parola, soprattutto quando è detta da unoche si difende, ma talvolta anche da uno che attacca, perché il ridicolo abbatte lavversario, lo confonde, lo scredita, lo intimidisce, lo confuta, e nello stesso tempo mette in evidenza la finezza, la cultura e la prontezza di spirito delloratore; oppure la ragione principale poi è questa, che il ridicolo mitiga e allenta la rigidezza e la severità, e spesso risolve con la facezia e il riso delle situazioni imbarazzanti, che difficilmente si potrebbero risolvere discussione

[237] Bisogna ora esaminare con la massima diligenza questa costituisce la quarta questione quali siano per loratore i limiti del ridicolo
Nam nec insignis improbitas et scelere iuncta nec rursus miseria insignis agitata ridetur: facinerosos [enim] maiore quadam vi quam ridiculi vulnerari volunt; miseros inludi nolunt, nisi se forte iactant; parcendum autem maxime est caritati hominum, ne temere in eos dicas, qui diliguntur

[LIX] [238] Haec igitur adhibenda est primum in iocando moderatio; itaque ea facillime luduntur, quae neque odio magno neque misericordia maxima digna sunt; quam ob rem materies omnis ridiculorum est in eis vitiis, quae sunt in vita hominum neque carorum neque calamitosorum neque eorum, qui ob facinus ad supplicium rapiendi videntur; eaque belle agitata ridentur
Infatti non si ride quando è presa di mira una enorme e criminosa malvagità e neppure unestrema miseria: gli uomini vogliono che i delinquenti siano colpiti da una forza maggiore di quella del riso e che glinfelici siano risparmiati, a meno che non mostrino di vantarsi; bisogna poi avere un particolare riguardo per gli affetti degli uomini, per non parlar male di coloro che sono amati

[LIX] [238] Questa moderazione è dunque la cosa a cui bisogna soprattutto badare in materia di facezie; pertanto le facezie più sicure sono quelle che riguardano episodi che non sono esposti né a un eccessivo odio né a una eccessiva pietà;per la qual cosa il dominio del ridicolo, quindi, consiste in quei difetti che si riscontrano nella vita degli uomini, che non sono né cari al popolo, né oppressi da sventure, né degni di essere portati al supplizio per i loro delitti: sono questi i difetti che fanno ridere, se sono colpiti con intelligenza

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[239] Est etiam deformitatis et corporis vitiorum satis bella materies ad iocandum; sed quaerimus idem, quod in ceteris rebus maxime quaerendum est, quatenus; in quo non modo illud praecipitur, ne quid insulse, sed etiam, quid perridicule possis, vitandum est oratori utrumque, ne aut scurrilis iocus sit aut mimicus

Quae cuius modi sint facilius iam intellegemus, cum ad ipsa ridiculorum genera venerimus
[239] Anche le deformità e i difetti fisici possono prestare ottima materia di riso; però bisogna sapere osservare la resto, che è essenziale in tutte le cose;in questo campo non solo si consiglia alloratore di rinunziare a tutto ciò che risulterebbe insulso, ma egli deve anche evitare, qualora sia in grado di esporre fatti sommamente ridicoli, le scurrilità e le buffonerie

Di che specie siano queste volgarità, lo vedremo meglio quando parleremo dei generi del ridicolo
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