Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04, pag 3

Cicerone, De officiis: Libro 01 - Parte 04

Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 01 - Parte 04

Licet ora ipsa cernere iratorum aut eorum, qui aut libidine aliqua aut metu commoti sunt aut voluptate nimia gestiunt; quorum omnium vultus, voces, motus statusque mutantur

Ex quibus illud intellegitur, ut ad officii formam revertamur, appetitus omnes contrahendos sedandosque esse excitandamque animadversionem et diligentiam, ut ne quid temere ac fortuito, inconsiderate neglegenterque agamus

neque enim ita generati a natura sumus, ut ad ludum et iocum facti esse videamur, ad severitatem potius et ad quaedam studia graviora atque maiora

ludo autem et ioco uti illo quidem licet, sed sicut somno et quietibus ceteris tum, cum gravibus seriisque rebus satis fecerimus

ipsumque genus iocandi non profusum nec immodestum, sed ingenuum et facetum esse debet
Basta osservare l'aspetto degli uomini adirati, o di quelli che sono sconvolti da qualche passione o da qualche timore, o di quelli che si esaltano per l'eccessiva gioia: tutto in loro si muta, il volto, la voce, l'andare, il modo di stare fermi

Da ciò si conclude (per tornare al nostro concetto del dovere), che bisogna frenare e calmare tutti gl'istinti, spronando la nostra vigile attenzione sì che non si faccia nulla alla cieca e a caso, nulla senza riflessione e con negligenza

In verità, noi non siamo stati generati dalla natura in modo da sembrar fatti per il gioco e per lo scherzo, ma piuttosto per un dignitoso contegno e per occupazioni più serie e più importanti

E' lecito senza dubbio lasciarsi andare talvolta al gioco e allo scherzo, ma come è il caso del sonno e degli altri riposi, cioè quando avremo adempiuti i nostri gravi e importanti doveri

E il genere stesso dello scherzo dev'essere, non eccessivo o smodato, ma onesto e gentile
ut enim pueris non omnem ludendi licentiam damus, sed eam, quae ab honestatis actionibus non sit aliena, sic in ipso ioco aliquod probi ingenii lumen eluceat

Duplex omnino est iocandi genus, unum illiberale, petulans, flagitiosum, obscenum, alterum elegans, urbanum, ingeniosum, facetum

Quo genere non modo Plautus noster et Atticorum antiqua comoedia, sed etiam philosophorum Socraticorum libri referti sunt, multaque multorum facete dicta, ut ea, quae a sene Catone collecta sunt, quae vocantur apophthegmata

Facilis igitur est distinctio ingenui et illiberalis ioci

Alter est, si tempore fit, ut si remisso animo, [severissimo] homine dignus, alter ne libero quidem, si rerum turpitudo adhibetur et verborum obscenitas
Come non concediamo ai fanciulli ogni libertà nei giochi, ma solo quella che non è contraria alle azioni che l'onestà richiede, così anche nello scherzo risplenda un barlume d'animo gentile

Ci sono, insomma, due specie di scherzi: l'uno volgare, aggressivo, scandaloso, turpe; l'altro elegante, garbato, ingegnoso, fine

Di questa seconda specie son pieni non solo il nostro Plauto e l'antica commedia degli Attici ma anche i libri dei filosofi socratici; e di questa specie sono molte facezie di molti, come, per esempio, quelle che furono raccolte dal vecchio Catone e che vanno sotto il titolo di a)pofqe gma

E' facile, dunque, distinguere lo scherzo nobile dal volgare

L'uno è degno anche dell'uomo più austero, se è fatto a tempo debito, come, per esempio, quando lo spirito si allenta; l'altro non è neppure degno di un uomo libero, se all'indecenza dei pensieri si aggiunge l'oscenità delle parole
Ludendi etiam est quidam modus retinendus, ut ne nimis omnia profundamus elatique voluptate in aliquam turpitudinem delabamur

Suppeditant autem et campus noster et studia venandi honesta exempla ludendi

Sed pertinet ad omnem officii quaestionem semper in promptu habere, quantum natura hominis pecudibus reliquisque beluis antecedat

Illae nihil sentiunt nisi voluptatem ad eamque feruntur omni impetu, hominis autem mens discendo alitur et cogitando, semper aliquid aut anquirit aut agit videndique et audiendi delectatione ducitur

quin etiam, si quis est paulo ad voluptates propensior, modo ne sit ex pecudum genere (sunt enim quidam homines non re, sed nomine) sed si quis est paulo erectior, quamvis voluptate capiatur, occultat et dissimulat appetitum voluptatis propter verecundiam
Anche nei divertimenti dobbiamo osservare una certa misura, per non prorompere in eccessi e, inebriati dal piacere, scivolare in qualche sconcezza

Offrono esempi di onesti divertimenti il nostro Campo di Marte e gli esercizi della caccia

Sempre, in ogni questione morale, conviene tener presente la grande eccellenza della natura umana rispetto a tutti gli animali, domestici e selvatici

Questi non sentono altro che il piacere dei sensi, e ad esso son trascinati da cieco impeto; invece la mente dell'uomo trova il suo alimento nell'imparare e nel meditare: essa o cerca o fa sempre qualche cosa, ed è guidata dalla gioia del vedere e dell'udire

Anzi, se un uomo è per temperamento alquanto incline ai piaceri, purché non sia della razza dei bruti (alcuni sono uomini non di fatto, ma di nome); solo che egli sia d'animo un po' elevato, per quanto dominato dal piacere, nasconde e dissimula, per un senso di pudore, codesta sua bramosia

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Latino: dall'autore Cicerone, opera De officiis parte Libro 03 - Parte 01

Ex quo intellegitur corporis voluptatem non satis esse dignam hominis praestantia eamque contemni et reici oportere, sin sit quispiam, qui aliquid tribuat voluptati, diligenter ei tenendum esse eius fruendae modum

Itaque victus cultusque corporis ad valitudinem referatur et ad vires, non ad voluptatem

Atque etiam, si considerare volumus, quae sit in natura excellentia et dignitas, intellegemus, quam sit turpe diffluere luxuria et delicate ac molliter vivere, quamque honestum parce, continenter, severe, sobrie

Intellegendum etiam est duabus quasi nos a natura indutos esse personis; quarum una communis est ex eo, quod omnes participes sumus rationis praestantiaeque eius, qua antecellimus bestiis, a qua omne honestum decorumque trahitur et ex qua ratio inveniendi officii exquiritur, altera autem quae proprie singulis est tributa
Da ciò si comprende che il piacere dei sensi non è troppo degno dell' uomo nobile e che, anzi, conviene disprezzarlo e respingerlo; se c'è però qualcuno che conceda qualche cosa al piacere, ponga ogni cura nell'usarne con sapiente moderazione

Perciò il vitto e la cura della persona abbiano per fine, non il piacere, ma la buona salute e il vigore delle forze

Anzi, sol che vogliamo riflettere un poco sopra l'eccellenza e la dignità della natura umana, comprenderemo quanto sia turpe una vita che nuota nel lusso e si sprofonda nelle mollezze, e per contro quanto sia bella una vita modesta e frugale, austera e sobria

Oltre a questo, bisogna riflettere che la natura ci ha come dotati di due caratteri: l'uno è comune a tutti, per cui tutti siamo partecipi della ragione, cioè di quella eccellenza onde noi superiamo le bestie: eccellenza da cui deriva ogni specie di onestà e di decoro, e da cui si desume il metodo che conduce alla scoperta del dovere; l'altro, invece, è quello che la natura ha assegnato in modo specifico alle singole persone
ut enim in corporibus magnae dissimilitudines sunt, alios videmus velocitate ad cursum, alios viribus ad luctandum valere, itemque in formis aliis dignitatem inesse, aliis venustatem, sic in animis existunt maiores etiam varietates

Erat in L Crasso, in L Philippo multus lepos, maior etiam magisque de industria in C Caesare, L filio; at isdem temporibus in M Scauro et in M Druso adulescente singularis severitas, in C Laelio multa hilaritas, in eius familiari Scipione ambitio maior, vita tristior

de Graecis autem dulcem et facetum festivique sermonis atque in omni oratione simulatorem, quem eirona Graeci nominarunt, Socratem accepimus, contra Pythagoram et Periclem summam auctoritatem consecutos sine ulla hilaritate
Invero, come nei corpi ci sono grandi differenze (alcuni, per l'agilità, sono evidentemente adatti alla corsa, altri, per la robustezza, alla lotta, e similmente, per ciò che riguarda le sembianze, alcuni hanno in sé la bellezza, altri la grazia), così negli animi appaiono dissomiglianze anche maggiori

In Lucio Crasso e in Lucio Filippo c'era molto spirito, ma ne possedeva ancor più, e di più ricercato, Gaio Cesare, il figlio di Lucio; ma in quei medesimi tempi Mauro Scauro e il giovane Mario Druso possedevano una straordinaria austerità; Gaio Lelio, invece, molta giocondità, mentre maggiore era l'ambizione e più serio il comportamento del suo amico Scipione

Fra i Greci, poi, sappiamo che Socrate era affabile e gioviale e piacevole conversatore, e, in ogni discorso, maestro in quella particolare fìnzione che i Greci chiamano ei) rwna per contro, Pitagora e Pericle conseguirono somma autorità, pur senz'ombra di buon umore

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Callidum Hannibalem ex Poenorum, ex nostris ducibus Q Maximum accepimus, facile celare, tacere, dissimulare, insidiari, praeripere hostium consilia

In quo genere Graeci Themistoclem et Pheraeum Iasonem ceteris anteponunt, in primisque versutum et callidum factum Solonis, qui, quo et tutior eius vita esset et plus aliquanto rei publicae prodesset, furere se simulavit

Sunt his alii multum dispares, simplices et aperti, qui nihil ex occulto, nihil de insidiis agendum putant, veritatis cultores, fraudis inimici, itemque alii, qui quidvis perpetiantur, cuivis deserviant, dum quod velint consequantur, ut Sullam et M Crassum videbamus

quo in genere versutissimum et patientissimum Lacedaemonium Lysandrum accepimus, contraque Callicratidan, qui praefectus classis proximus post Lysandrum fuit
Astuto fu (com'è noto), tra i capitani cartaginesi Annibale, tra i nostri Quinto Massimo esperti entrambi nell'arte di celare, tacere, dissimulare, tendere insidie, prevenire e sventare i disegni del nemico

Per questo rispetto i Greci antepongono Temistocle e Giàsone di Fere a tutti gli altri; ed esaltano in particolar modo lo scaltro e ingegnoso espediente di Solone, il quale, per meglio tutelar la sua vita e per più giovare alla sua patria, si finse pazzo

Ben diversi da costoro vi sono altri, candidi e schietti, i quali credono che non si debba far nulla di nascosto, nulla per inganno, amanti della verità, nemici della frode; e altri ancora vi sono, disposti a sopportare qualunque affronto e a inchinarsi a qualunque persona, pur di raggiungere il proprio intento, come vedevamo fare a Silla e a Marco Crasso

Per questo rispetto, insigne per scaltrezza e per pazienza fu (com'è noto) lo spartano Lisandro; tutto l'opposto fu Callicratida, che successe a Lisandro nel comando dell'armata
Itemque in sermonibus alium [quemque], quamvis praepotens sit, efficere, ut unus de multis esse videatur, quod in Catulo, et in patre et in filio, idemque in Q Mucio, Mancia vidimus

Audivi ex maioribus natu, hoc idem fuisse in P Scipione Nasica, contraque patrem eius, illum qui Ti Gracchi conatus perditos vindicavit, nullam comitatem habuisse sermonis, [ne Xenocratem quidem severissimum philosophorum,] ob eamque rem ipsam magnum et clarum fuisse

Innumerabiles aliae dissimilitudines sunt naturae morumque, minime tamen vituperandorum

Admodum autem tenenda sunt sua cuique, non vitiosa, sed tamen propria, quo facilius, decorum illud, quod quaerimus, retineatur
Similmente, nel conversare familiare, qualcuno, per potente che sia, non ottiene altro effetto che di sembrare uno dei tanti: l'abbiamo notato nei due Catuli padre e figlio, e anche in Quinto Mucio Mancia

Ho sentito dire dai nostri vecchi che la stessa disinvoltura l'ebbe Publio Scipione Nasica; al contrario, il padre di lui, quello che represse gli scellerati tentativi di Tiberio Gracco, non aveva alcuna affabilità nel parlare; come non l'ebbe neanche Senocrate, il più rigido e burbero dei filosofi, il quale, appunto per questa mancanza di affabilità, fu grande e famoso

Ci sono poi innumerevoli altre differenze psicologiche e morali, non però meritevoli di biasimo alcuno

Ogni uomo deve accuratamente coltivare le sue qualità naturali (le buone, s'intende, non le cattive), per poter più facilmente conservare quel decoro di cui andiamo parlando

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Sic enim est faciendum, ut contra universam naturam nihil contendamus, ea tamen conservata propriam nostram sequamur, ut etiamsi sint alia graviora atque meliora, tamen nos studia nostra nostrae naturae regula metiamur; neque enim attinet naturae repugnare nec quicquam sequi, quod assequi non queas

ex quo magis emergit quale sit decorum illud, ideo quia nihil decet invita Minerva, ut aiunt, id est adversante et repugnante natura

Omnino si quicquam est decorum, nihil est profecto magis quam aequabilitas [cum] universae vitae, tum singularum actionum, quam conservare non possis, si aliorum naturam imitans, omittas tuam

Ut enim sermone eo debemus uti, qui innatus est nobis, ne, ut quidam, Graeca verba inculcantes iure optimo rideamur, sic in actiones omnemque vitam nullam discrepantiam conferre debemus
E il modo da tenere è questo: non dobbiamo far nulla contro l'universale natura umana e, nel pieno rispetto di essa, dobbiamo seguir la nostra particolare, in modo che, anche se altri abbiano altre attitudini maggiori e migliori, noi misuriamo le nostre alla stregua della nostra natura: non giova, invero, contrastare alla propria natura o inseguire qualcosa che non si può raggiungere

Da ciò emerge più evidente la vera essenza del decoro, appunto perché nulla è decoroso a dispetto, come suol dirsi, di Minerva, cioè, nel caso nostro, della natura

In generale, se c'è al mondo cosa decorosa, nessuna certamente è tale più della coerenza, così nella vita intera come nelle singole azioni; coerenza che noi non potremmo conservare, se, imitando l'altrui natura, ci spogliassimo della nostra

Come noi dobbiamo far uso di quella lingua che ci è materna, per non essere giustamente derisi, come accade a taluni che vi inseriscono parole greche, così non dobbiamo introdurre alcuna dissonanza nelle nostre azioni e nella nostra vita
Atque haec differentia naturarum tantam habet vim, ut non numquam mortem sibi ipse consciscere alius debeat, alius [in eadem causa] non debeat

Num enim alia in causa M Cato fuit, alia ceteri, qui se in Africa Caesari tradiderunt

atqui ceteris forsitan vitio datum esset, si se interemissent, propterea quod lenior eorum vita et mores fuerant faciliores; Catoni cum incredibilem tribuisset natura gravitatem, eamque ipse perpetua constantia roboravisset semperque in proposito susceptoque consilio permansisset, moriendum potius quam tyranni vultus aspiciendus fuit

Quam multa passus est Ulixes in illo errore diuturno, cum et mulieribus, si Circe et Calypso mulieres appellandae sunt, inserviret et in omni sermone omnibus affabilem [et iocundum] esse se vellet
Ora, questa diversità di nature ha in sé tanta forza che talvolta un uomo deve darsi la morte, mentre un altro, nelle stesse condizioni, non deve

Forse che Marco Catone si trovò in condizione diversa da quella di coloro che in Africa si arresero a Cesare

Eppure, mentre a costoro si sarebbe fatta una colpa se si fossero uccisi, perché meno austera era stata la loro vita e meno rigidi i loro costumi, a Catone, invece, che aveva avuto in dono da natura una straordinaria austerità, da lui rafforzata con una incessante fermezza, a Catone, ch'era sempre rimasto incrollabilmente fermo nel suo proposito, il dovere impose di morire piuttosto che vedere la faccia del tiranno

Quante disavventure sopportò Ulisse, in quel suo lungo e periglioso errare, riducendosi perfino a schiavo di donne, se donne si possono chiamare Circe e Calipso, e cercando di mostrarsi in ogni discorso affabile e cortese con tutti

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Domi vero etiam contumelias servorum ancillarumque pertulit, ut ad id aliquando, quod cupiebat, veniret

At Aiax, quo animo traditur, milies oppetere mortem quam illa perpeti maluisset

Quae contemplantes expendere oportebit, quid quisque habeat sui, eaque moderari nec velle experiri, quam se aliena deceant; id enim maxime quemque decet, quod est cuiusque maxime suum

[Suum] quisque igitur noscat ingenium acremque se et bonorum et vitiorum suorum iudicem praebeat, ne scaenici plus quam nos videantur habere prudentiae

Illi enim non optumas, sed sibi accomodatissimas fabulas eligunt; qui voce freti sunt, Epigonos Medumque, qui gestu Melanippam, Clytemestram, semper Rupilius, quem ego memini, Antiopam, non saepe Aesopus Aiacem
Nella sua casa, poi, sopportò perfino gli oltraggi dei servi e delle ancelle, pur di raggiungere finalmente il suo intento

Laddove Aiace, con quel carattere che la tradizione gli attribuisce, mille volte avrebbe voluto incontrar la morte piuttosto che sopportare quegli umilianti oltraggi

Per queste ragioni e per questi esempi, conviene che ciascuno esamini attentamente la propria natura e la indirizzi a buon fine, senza voler sperimentare quanto gli si addica l'altrui: a ciascuno tanto più conviene il suo carattere quanto più è suo

Ciascuno, dunque, ben conosca la propria indole, facendosi giudice attento e oculato delle sue virtù e dei suoi difetti, perché non sembri che gli attori abbiano più discernimento di noi

Gli attori, infatti, scelgono non i drammi migliori, ma quelli più adatti alle loro forze: coloro che confidano nella voce, preferiscono gli Epigoni e il Medo, coloro che confidano nella mimica, la Melanippa e la Clitemestra; Rupilio, ben lo ricordo, recitava sempre l'Antiope, Esopo di rado l'Aiace

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