Cicerone, De Finibus: Libro 03; 16-20

Cicerone, De Finibus: Libro 03; 16-20

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 03; 16-20

[16, 52] Ut enim, inquit, nemo dicit in regia regem ipsum quasi productum esse ad dignitatem (id est enim proegmènon), sed eos, qui in aliquo honore sunt, quorum ordo proxime accedit, ut secundus sit, ad regium principatum, sic in vita non ea, quae primo loco sunt, sed ea, quae secundum locum optinent, proegmèna, id est producta, nominentur; quae vel ita appellemusid erit verbum e verbovel promota et remota vel, ut dudum diximus, praeposita vel praecipua, et illa reiecta

Re enim intellecta in verborum usu faciles esse debemus

[53] Quoniam autem omne, quod est bonum, primum locum tenere dicimus, necesse est nec bonum esse nec malum hoc, quod praepositum vel praecipuum nominamus

Idque ita definimus; quod sit indifferens cum aestimatione mediocri; quod enim illi édiforon dicunt, id mihi ita occurrit, ut indifferens dicerem
[16, 52] Come in una reggia egli spiega si dice che sono stati, per così dire, elevati a dignità (questo è il significato del greco proegmnénon) non il re, ma coloro che hanno qualche carica, il cui grado sia prossimo, in posizione subordinata, al potere regio così lo stesso avviene a proposito della vita: si potrebbe denominare proegménon, cioè elevato non ciò che è al primo posto ma ciò che occupa il secondo posto;potremmo chiamarlo così (e sarà traduzione letterale) oppure promosso e il suo contrario rimosso, oppure, come abbiamo detto poco fa, preferito o precipuo e il suo contrario rifiutato

Capito il concetto, non dobbiamo far difficoltà per luso dei termini

[53] Data lasserzione che tutto ciò che è bene occupa il primo posto, non deve necessariamente essere né bene né male ciò che denominiamo preferito o precipuo

Ne diamo la seguente definizione: ciò che è indifferente pur con una valutazione mediocre; per il loro termine greco adidfthoron mi è venuta la traduzione indifferente
Neque enim illud fieri poterat ullo modo, ut nihil relinqueretur in mediis, quod aut secundum naturam esset aut contra, nec, cum id relinqueretur, nihil in his poni, quod satis aestimabile esset, nec hoc posito non aliqua esse praeposita

[54] Recte igitur haec facta distinctio est, atque etiam ab iis, quo facilius res perspici possit, hoc simile ponitur: ut enim, inquiunt, si hoc fingamus esse quasi finem et ultimum, ita iacere talum, ut rectus adsistat, qui ita talus erit iactus, ut cadat rectus, praepositum quiddam habebit ad finem, qui aliter, contra, neque tamen illa praepositio tali ad eum, quem dixi, finem pertinebit, sic ea, quae sunt praeposita, referuntur illa quidem ad finem, sed ad eius vim naturamque nihil pertinent
Ed infatti non poteva assolutamente darsi: che fra le cose mediane non restasse nulla che fosse conforme o contrario a natura; che, restando ciò, non si ponesse fra tali cose nulla che fosse abbastanza, degno di valutazione; che, ciò posto, non ve ne fossero alcune preferite

[54] Dunque è stato giusto fare questa distinzione, ed essi istituiscono anche il seguente paragone, per rendere più facilmente comprensibile il concetto: dicono che se immaginiamo che il termine estremo e lultimo punto consista, per così dire, nel gettare il dado in modo che si fermi diritto, il dado che sarà gettato in modo da cader diritto avrà, rispetto al termine estremo, un elemento di preferenza che quello caduto diversamente non ha, e tuttavia tale preferenza del dado non riguarderà il termine estremo che ho detto, così le cose preferite hanno anchesse relazione con il termine estremo, ma non riguardano affatto la sua essenza e la sua natura
[55] Sequitur illa divisio, ut bonorum alia sint ad illud ultimum pertinentia (sic enim appello, quae telikà dicuntur; nam hoc ipsum instituamus, ut placuit, pluribus verbis dicere, quod uno non poterimus, ut res intellegatur), alia autem efficientia, quae Graeci poietik, alia utrumque

De pertinentibus nihil est bonum praeter actiones honestas, de efficientibus nihil praeter amicum, sed et pertinentem et efficientem sapientiam volunt esse

Nam quia sapientia est conveniens actio, est illo pertinenti genere, quod dixi; quod autem honestas actiones adfert et efficit, [id] efficiens dici potest
[55] Ne segue questaltra classificazione : vi sono beni pertinenti al termine estremo (chiamo così quelli che in greco son detti telikà; cominciamo infatti a questo punto, come abbiamo deciso, a ricorrere a perifrasi quando non potremo usare ununica parola, allo scopo di far capire il concetto), vi sono beni efficienti (in greco poietikà), ed altri che appartengono ad entrambe le categorie

Fra i pertinenti non vi è bene allin- fuori degli atti onesti, fra gli efficienti nulla tranne lamico ma la sapienza è, secondo loro, sia pertinente sia efficiente

Giacché la sapienza, in quanto è un atto di accordo, appartiene alla categoria dei beni pertinenti anzi detta; ma in quanto apporta e produce atti di onestà, si può dire un bene efficiente

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Cicerone, De Finibus: Libro 02; 31-35
Cicerone, De Finibus: Libro 02; 31-35

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 02; 31-35

[17, 56] Haec, quae praeposita dicimus, partim sunt per se ipsa praeposita, partim quod aliquid efficiunt, partim utrumque, per se, ut quidam habitus oris et vultus, ut status, ut motus, in quibus sunt et praeponenda quaedam et reicienda; alia ob eam rem praeposita dicentur, quod ex se aliquid efficiant, ut pecunia, alia autem ob utramque rem, ut integri sensus, ut bona valitudo

[57] De bona autem famaquam enim appellant eudoxìa, aptius est bonam famam hoc loco appellare quam gloriamChrysippus quidem et Diogenes detracta utilitate ne digitum quidem eius causa porrigendum esse dicebant; quibus ego vehementer assentior
[17, 56] Queste cose da noi dette preferite, in parte sono preferite di per se stesse, in parte perché producono un effetto, in parte per entrambe le ragioni, di per sé, come per esempio un certo aspetto del volto e della fisionomia, il modo di atteggiarsi e di muoversi, cose in cui si trovano elementi da preferire e da rifiutare; altre si diranno preferite perché producono un effetto proprio, come per esempio il danaro; altre invece per entrambe le ragioni, come per esempio il perfetto stato dei sensi e la buona salute

[57] Quanto alla buona fama (per quella che essi chiamano in greco eudoxìa risulta più rispondente a questo proposito buona fama anziché gloria), Crisippo e Diogene , abolitane lutilità, dicevano che per essa non bisogna neanche muovere un dito; ed io son pienamente daccordo con loro
Qui autem post eos fuerunt, cum Carneadem sustinere non possent, hanc, quam dixi, bonam famam ipsam propter se praepositam et sumendam esse dixerunt, esseque hominis ingenui et liberaliter educati velle bene audire a parentibus, a propinquis, a bonis etiam viris, idque propter rem ipsam, non propter usum, dicuntque, ut liberis consultum velimus, etiamsi postumi futuri sint, propter ipsos, sic futurae post mortem famae tamen esse propter rem, etiam detracto usu, consulendum

[58] Sed cum, quod honestum sit, id solum bonum esse dicamus, consentaneum tamen est fungi officio, cum id officium nec in bonis ponamus nec in malis

Est enim aliquid in his rebus probabile, et quidem ita, ut eius ratio reddi possit, ergo ut etiam probabiliter acti ratio reddi possit
Però i loro successori, non potendo tener testa a Carneade , affermarono che questa buona fama ora detta è preferita per se stessa e degna di essere accettata, e che è proprio delluomo libero di nascita e dotato di educazione liberale il desiderio di goder buona fama presso i genitori, i parenti ed anche le persone per bene, e ciò per la cosa in sé, non per ragioni di utilità pratica e dicono pure che, come vogliamo provvedere ai nostri figli per loro stessi, anche vranno dopo di noi, così dobbiamo anche provvedere alla fama che avremo dopo la morte, pur senza interesse di utilità pratica

[58] Ma, pur affermando che è bene solo ciò che è onesto, è tuttavia una logica deduzione ladempimento del proprio dovere, senza per altro annoverare tale dovere né fra i beni né fra i mali

Vi è infatti in ciò qualcosa degno di approvazione, e di tal natura che se ne può rendere ragione; quindi si può rendere ragione anche di unazione degna di approvazione

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Cicerone, De Finibus: Libro 05; 26-32
Cicerone, De Finibus: Libro 05; 26-32

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 05; 26-32

Est autem officium, quod ita factum est, ut eius facti probabilis ratio reddi possit

Ex quo intellegitur officium medium quiddam esse, quod neque in bonis ponatur neque in contrariis

Quoniamque in iis rebus, quae neque in virtutibus sunt neque in vitiis, est tamen quiddam, quod usui possit esse, tollendum id non est

Est autem eius generis actio quoque quaedam, et quidem talis, ut ratio postulet agere aliquid et facere eorum

Quod autem ratione actum est, id officium appellamus

Est igitur officium eius generis, quod nec in bonis ponatur nec in contrariis

[18, 59] Atque perspicuum etiam illud est, in istis rebus mediis aliquid agere sapientem

Iudicat igitur, cum agit, officium illud esse

Quod quoniam numquam fallitur in iudicando, erit in mediis rebus officium
Il dovere è unazione compiuta in modo tale per cui si può dare ragione plausibile del suo adempimento

Di qui si comprende come il dovere sia un qualcosa di intermedio, che non si annovera né fra i beni né fra il loro contrario

E poiché fra ciò che non fa parte né delle virtù né dei vizi cè pur qualcosa che potrebbe essere di pratica utilità, tale elemento non deve essere abolito

Appartiene a questo genere anche una certa azione, ed è tale che la ragione richiede di compiere e fare qualcosa di ciò

Ma lazione determinata dalla ragione la chiamiamo dovere

Dunque il dovere è di tal genere che non si annovera né fra beni né fra il loro contrario

[18, 59] Ed è evidente anche questaltro punto: il sapiente fa qualche azione nellàmbito di queste cose mediane

Quindi, quando agisce, giudica la sua azione un dovere

E poiché non si sbaglia mai nel formulare un giudizio, il dovere apparterrà alle cose mediane
Quod efficitur hac etiam conclusione rationis: quoniam enim videmus esse quiddam, quod recte factum appellemus, id autem est perfectum officium, erit [autem] etiam inchoatum, ut, si iuste depositum reddere in recte factis sit, in officiis ponatur depositum reddere; illo enim addito 'iuste' fit recte factum, per se autem hoc ipsum reddere in officio ponitur

Quoniamque non dubium est quin in iis, quae media dicimus, sit aliud sumendum, aliud reiciendum, quicquid ita fit aut dicitur, omne officio continetur

Ex quo intellegitur, quoniam se ipsi omnes natura diligant, tam insipientem quam sapientem sumpturum, quae secundum naturam sint, reiecturumque contraria

Ita est quoddam commune officium sapientis et insipientis, ex quo efficitur versari in iis, quae media dicamus
Ciò risulta anche dal seguente ragionamento: poiché esiste qualcosa, lo vediamo, che chiamiamo azione retta, ed è il dovere perfettamente compiuto, vi sarà anche allo stadio iniziale; di modo che, se rendere giustamente un deposito si annovera fra le azioni rette, fa parte dei doveri rendere un deposito: con laggiunta di giustamente diventa unazione retta, ma lazione stessa del rendere in sé vien considerata un dovere

E poiché non vè dubbio che in ciò che definiamo come intermedio cè una parte da accettare e una parte da rifiutare, tutto ciò che vien fatto o detto così è sostanzialmente contenuto nel dovere

Da ciò si comprende, poiché tutti per natura amano se stessi, che tanto lignorante quanto il sapiente accetteranno ciò che è secondo natura e rifiuteranno il suo contrario

Cè così un dovere comune al sapiente e allignorante, per cui risulta che il dovere fa parte delle cose da noi dette intermedie

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Cicerone, De Finibus: Libro 04; 06-10
Cicerone, De Finibus: Libro 04; 06-10

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 04; 06-10

[60] Sed cum ab his omnia proficiscantur officia, non sine causa dicitur ad ea referri omnes nostras cogitationes, in his et excessum e vita et in vita mansionem

In quo enim plura sunt quae secundum naturam sunt, huius officium est in vita manere; in quo autem aut sunt plura contraria aut fore videntur, huius officium est de vita excedere

Ex quo apparet et sapientis esse aliquando officium excedere e vita, cum beatus sit, et stulti manere in vita, cum sit miser

[61] Nam bonum illud et malum, quod saepe iam dictum est, postea consequitur, prima autem illa naturae sive secunda sive contraria sub iudicium sapientis et dilectum cadunt, estque illa subiecta quasi materia sapientiae

Itaque et manendi in vita et migrandi ratio omnis iis rebus, quas supra dixi, metienda
[60] Ma, dato che da esse partono tutti i doveri, non è senza motivo laffermazione che ad esse si riferiscono tutti i nostri pensieri, e fra questi luscir di vita e il rimanere in vita

Infatti, chi ha in maggior numero le cose conformi a natura ha il dovere di rimanere in vita; chi invece ha o si crede destinato ad avere in maggior numero le cose contrarie, ha il dovere di uscir di vita

Da ciò risulta chiaro che il sapiente ha talvolta il dovere di uscir di vita pur essendo felice, e lo stolto di rimanere in vita pur essendo infelice

[61] Giacché quel bene e quel male, di cui già si è parlato più volte, sono conseguenze successive; ma quei principi naturali, sia favorevoli sia contrari, cadono sotto il giudizio e la scelta del sapiente, e formano per così dire il materiale offerto alla sapienza

Pertanto ogni considerazione per rimanere in vita e per andarsene deve essere fatta sulla scorta degli elementi che ho detto sopra
Nam neque virtute retinetur in vita, nec iis, qui sine virtute sunt, mors est oppetenda

Et saepe officium est sapientis desciscere a vita, cum sit beatissimus, si id oportune facere possit, quod est convenienter naturae

Sic enim censent, oportunitatis esse beate vivere

Itaque a sapientia praecipitur se ipsam, si usus sit, sapiens ut relinquat

Quam ob rem cum vitiorum ista vis non sit, ut causam afferant mortis voluntariae, perspicuum est etiam stultorum, qui idem miseri sint, officium esse manere in vita, si sint in maiore parte rerum earum, quas secundum naturam esse dicimus

Et quoniam excedens e vita et manens aeque miser est nec diuturnitas magis ei vitam fugiendam facit, non sine causa dicitur iis, qui pluribus naturalibus frui possint, esse in vita manendum
Non è infatti la virtù che trattiene quello in vita, né chi è senza virtù deve andare incontro alla morte

Ed è spesso dovere del sapiente staccarsi dalla vita pur essendo al colmo della felicità, se lo può fare in modo opportuno, vale a dire in accordo con la natura

Questa è infatti la loro opinione: la felicità della vita è questione di opportunità

Pertanto la sapienza prescrive al sapiente di abbandonare se stessa, se si dà il caso

Perciò, dato che la forza dei vizi non è tale da recar motivo di morte volontaria, è palese che anche gli stolti, che pur sono infelici, hanno il dovere di rimanere in vita, se in loro è preponderante la parte di quelle cose che noi definiamo conformi a natura

E poiché è ugualmente infelice sia uscendo di vita sia rimanendovi e non è la durata che lo spinge a fuggire maggiormente la vita, non senza motivo si dice che devono rimanere in vita coloro che possono fruire di cose conformi a natura in numero maggiore

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Cicerone, De Finibus: Libro 02; 11-15

Latino: dall'autore Cicerone, opera De Finibus parte Libro 02; 11-15

[19, 62] Pertinere autem ad rem arbitrantur intellegi natura fieri ut liberi a parentibus amentur

A quo initio profectam communem humani generis societatem persequimur

Quod primum intellegi debet figura membrisque corporum, quae ipsa declarant procreandi a natura habitam esse rationem

Neque vero haec inter se congruere possent, ut natura et procreari vellet et diligi procreatos non curaret

Atque etiam in bestiis vis naturae perspici potest; quarum in fetu et in educatione laborem cum cernimus, naturae ipsius vocem videmur audire

Quare perspicuum est natura nos a dolore abhorrere, sic apparet a natura ipsa, ut eos, quos genuerimus, amemus, inpelli
[19, 62] Essi poi ritengono che abbia attinenza con largomento il comprendere che lamore dei genitori verso i figli è un fatto naturale

Da questo inizio ha avuto origine, secondo il nostro pensiero, la socievole convivenza del genere umano

Ci fan capire ciò anzitutto la conformazione e le membra del corpo: esse rivelano che la natura nella procreazione seguì un criterio razionale

Inoltre sarebbe unincongruenza dire che la natura vuole la procreazione e non si interessa per far amare le creature generate

Ed anche nelle bestie si può notare la forza della natura: quando ne vediamo il travaglio nel parto e nellallevamento, abbiamo limpressione di udire la voce della stessa natura

Perciò, come è evidente che noi per natura rifuggiamo dal dolore, così la natura stessa risulta spingerci ad amare quelli che abbiamo generato

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